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Alla fine ha vinto lui, Alexis Tsipras, l’uomo che ha sfidato la Troika mettendoci la faccia e rischiando di rimetterci governo e, probabilmente, avvenire politico. Eppure, da più parti, soprattutto tra i commentatori italiani, per giorni si è sottolineata ossessivamente la presunta vigliaccheria del premier greco, reo di aver scaricato sul popolo l’onere di una scelta che avrebbe aperto (e aprirà) scenari imprevedibili. Una concezione che rimbalza o sibila ancora adesso tra gli scontenti del risultato del referendum, ma anche una perplessità sincera che ha investito alcuni simpatizzanti del duo Tsipras-Varoufakis. “Che senso aveva fare il referendum? Non poteva dire direttamente no a quelle condizioni imposte dall’Europa?”, si chiedono in molti. La risposta, come sempre, è rinchiusa nelle logiche della politica e nel cuore degli avvenimenti che hanno condotto a questo storico 5 luglio.

Il governo di Atene, sin dalla sua elezione, ha provato a negoziare con l’Unione, con l’idea chiara e manifesta che aveva guidato la campagna elettorale vittoriosa di Syriza: l’Europa deve cambiare atteggiamento e non può più chiedere interventi di macelleria sociale in nome di parametri e di rientro del debito. La parola austerità, nella Grecia attuale, ereditata dai precedenti governi che tanto servilmente hanno collaborato con la Troika, è inammissibile. Non si cede di un millimetro: prima il popolo e poi le questioni finanziarie. Dall’altra parte, non si è mollato su nulla. Così, i negoziati non sono andati a buon fine e, dinnanzi all’intransigente rispetto di Tsipras e Varoufakis per le promesse fatte ai propri elettori, il gioco si è fatto duro.

La Troika, o per meglio dire la Germania, ha messo in campo le armi pesanti, ha minacciato, terrorizzato i greci, prefigurato scenari apocalittici, discusso più volte del futuro della Grecia senza ammettere la partecipazione dei rappresentanti del governo, ha persino trattato con l’opposizione in una sorta di golpe nascosto: insomma, bisognava mettere all’angolo Syriza e indebolire l’esecutivo, fino magari a farlo cadere (usanza non nuova nell’Europa della Merkel). Tsipras era circondato e il margine che gli veniva offerto in realtà era un ricatto: o accetti o ti mettiamo alla porta e il tuo Paese finisce male.

Sono convinto che tanti di quelli che danno del vigliacco al premier greco avrebbero risposto accettando. E avrebbero mandato al diavolo le idee e i principi che sono stati al centro del patto con i propri elettori. Ma Tsipras non è un vigliacco, è un gigante che si muove in mezzo a un continente di codardi. E allora opta per una delle cose più logiche e giuste, anche se estremamente rischiose. Lui, figlio della patria di una democrazia troppe volte bistrattata, si affida al popolo: ha bisogno di misurare non il consenso scontato del proprio elettorato, ma quello di tutti i cittadini, compresi coloro che non lo hanno votato. Ha bisogno della sua gente, dell’unità e della condivisione di fronte a una scelta importante per il futuro del Paese. Sa che, se perde la sua linea, lui sarebbe politicamente finito e il suo governo morirebbe all’istante. Non importa, per Tsipras il domani della Grecia è più urgente della sua carriera politica.

Rischia, da vero leader, da uomo lungimirante che sente il polso della nazione e sa pure che, in caso di vittoria, il suo governo, la sua leadership ne uscirebbero molto più forti, la sua posizione sarebbe legittimata e qualsiasi azione acida di assalto o ricatto da parte della Troika sarebbe non più contro il governo di Syriza ma contro il popolo greco. E c’è di più: Tsipras sa che la sua visione da sinistra potrebbe farlo diventare un punto di riferimento in un’Europa stanca dei diktat della finanza che affossano il welfare dei paesi membri più poveri e che, senza una decisa direzione a sinistra, rischierebbe di finire in mano a quelle forze di estrema destra, razziste e populiste, allergiche all’Euro per ragioni diverse e assolutamente reazionarie.

Se vince il No, Tsipras sa che l’effetto potrebbe propagarsi, rafforzare ad esempio la scalata al governo di Podemos in Spagna, risvegliare anche in altri contesti forze che puntano ad un’Europa diversa, più solidale, più popolare, più unita sulla condivisione di un progetto che non sia dettato solo ed esclusivamente dalle banche, dal denaro, dall’egoismo delle nazioni più forti. Sa tutto questo Tsipras e lo mette in gioco. Con grande coraggio, con preoccupazione ma con fiera determinazione. Non ci sono altre strade per frenare la mano lunga della Troika sul destino greco. Gioca e vince, Tsipras. Con un risultato più ampio di quanto si attendesse. La Grecia è in gran parte con lui. Lo sono anche molti cittadini di altre nazioni europee.

Egli ha sconfitto gli euro-egoisti, i tentativi di disturbo e di ingerenza proseguiti anche durante la campagna referendaria. Adesso si apre una nuova strada e ci sarà un’altra battaglia da affrontare, lunga e inquinata dalle reazioni velenose di coloro i quali hanno subito un bel pugno in faccia, un affronto a cui non erano abituati. Ma Tsipras e la Grecia oggi sono più forti di ieri, sono un popolo compatto guidato da un rappresentante coraggioso che parla e agisce in nome di quel popolo. E con il suo appoggio. Altro che vigliaccheria. Questa si chiama politica, questa è democrazia. Quello di Tsipras è stato un atto di enorme coraggio ed encomiabile dignità. Io lo applaudo, mentre altri rodono.

Massimiliano Perna

No 741831

Alexis Tsipras