Secondo recenti ricerche il glifosato, il principio attivo più diffuso al mondo contenuto negli erbicidi, è stato classificato tra le sostanze “probabilmente cancerogene”. A darne la notizia è stata l’Iarc, l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, dopo una serie di prove in laboratorio, i cui risultati sono stati resi pubblici il 20 marzo scorso.

Tale sostanza è utilizzata in 750 prodotti per l’agricoltura e il giardinaggio, ma soprattutto la sua fortuna si deve all’aumento delle piante ogm, capaci di resistere a questo erbicida. È facile trovare la sua presenza nell’acqua, nell’aria, nei cibi, causando talvolta un pericolo per le popolazioni delle aree in cui viene utilizzato; infatti, si parla del rischio del linfoma non Hodgkin, una forma di tumore del sangue. Inoltre, la ricerca ha messo in luce la pericolosità di altre sostanze presenti in agrofarmaci come: Diazinon, Malathion, Parathion e Tetraclorvinfos.

Nonostante queste dichiarazioni, il governo italiano, però, per adesso non ha preso in considerazione alcuna richiesta da parte delle associazioni ambientaliste per bloccarne l’uso e bandirlo definitivamente dalle campagne e dai giardini e puntare su pratiche di agricoltura biologica e biodinamica.

La replica della Monsanto, multinazionale che lo produce sotto il nome Roundup, è stata molto dura, arrivando a definire la ricerca “scienza spazzatura”, chiedendo anche il ritiro del rapporto e accusando addirittura l’Iarc di ignorare intenzionalmente gli studi che negano la pericolosità del glifosato. “Le decisioni sulla sicurezza dei prodotti e l’approvazione dei pesticidi sono governati da agenzie con potere regolatorio, come l’americana Epa e la Commissione Europea, così come da enti scientifici indipendenti come l’Efsa. Lo Iarc non ha autorità regolatoria e le sue decisioni non impattano con l’etichettatura, la registrazione e l’uso del glifosato”, ha dichiarato la Monsanto.

“Per noi le valutazioni dello Iarc sono valide perché elaborate con metodo rigoroso e perché valutano studi indipendenti e pubblicati nella letteratura scientifica: quindi vanno tenute nella massima considerazione dalle autorità regolatorie. Ciò non toglie che ulteriori studi siano benvenuti” , ribatte Roberto Bertollini, direttore di ricerca dell’ufficio europeo dell’Oms. Paesi come la Francia, l’Olanda e il Brasile stanno già provvedendo a mettere al bando il prodotto, quindi gli ambientalisti sperano che anche in Italia si possa prendere al più presto la stessa rotta.

Veronica Nicotra -ilmegafono.org