Una recente inchiesta di Legambiente, effettuata tra la fine di novembre 2014 e le vacanze natalizie, rivela l’illegalità delle classiche buste di plastica, che quotidianamente utilizziamo per trasportare la spesa. Su un campione di 37 sacchetti presi in esame da diversi punti vendita della Grande distribuzione, 20 di essi, quindi il 54 per cento del totale, non risultano conformi alla legge, cioè non riportano quelle caratteristiche di materiale biodegradabile e compostabile che dovrebbero avere.

Il primato di tale truffa va ad alcune regioni del Centro Sud: Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e Lazio; nello specifico le situazioni peggiori si ritrovano nelle città di Potenza, Avellino, Bari e Napoli. Nessuna irregolarità, invece, per quanto riguarda i sacchetti prelevati in Lombardia e in Veneto.

“Siamo di fronte ad un diffusa situazione di illegalità nel settore delle buste per l’asporto delle merci. Il bando sui sacchetti di plastica è in vigore da anni, la norma è molto chiara e le multe previste dallo scorso mese di agosto sono salate. È arrivato il momento di far rispettare una legge che permette di ridurre l’inquinamento da plastica, di migliorare la raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti e la produzione di compost di qualità. Anche le forze dell’ordine e la magistratura dovranno attivarsi per fermare questa diffusa situazione di illegalità”, ha dichiarato il vicepresidente di Legambiente, Stefano Ciafani.

La normativa contro la vendita di sacchetti non biodegradabili venne approvata in seguito a un emendamento alla legge finanziaria del 2007, alla quale sono seguite ulteriori norme che hanno delineato i dettagli del bando. Per chi vende false buste bio i provvedimenti possono essere pesanti, si va da multe di 2.500 euro a 25.000 euro, che potrebbero aumentare se la violazione riguardasse una quantità eccessiva di sacchi.

Affinché un materiale plastico possa essere considerato compostabile deve osservare le qualità di biodegradabilità, disintegrabilità, assenza di effetti negativi sul processo di compostaggio e assenza di metalli pesanti. Per riconoscerli è necessario che abbiano la scritta “biodegradabile e compostabile”, la citazione dello standard europeo “UNI EN 13432:2002” e, infine, il marchio di un ente certificatore che tuteli il consumatore come soggetto terzo.

Applicare la normativa sui sacchetti biodegradabili è importante sia per dare impulso al settore della chimica verde, che ultimamente sta facendo passi avanti, sia per porre fine, una volta per tutte, all’utilizzo di buste inquinanti, che rappresentano un vero e proprio attentato all’ambiente, se si considera che in Italia se ne fa un uso sproporzionato, arrivando a utilizzarne circa 181 a testa nell’arco di un anno.

Veronica Nicotra -ilmegafono.org