Sono trascorse già due settimane da quella mattina iniziata con una notizia che si sperava di leggere il più tardi possibile. Di sicuro mi sembrava lontana, quella mattina di inizio anno, con gli occhi appena aperti e la voglia di ascoltare la canzone che cantavo a mente al risveglio, una delle sue più belle (Stare bene a metà), di un album di grande successo (“Dimmi cosa succede sulla terra”) che rappresentava l’ennesima variazione, l’ennesima sperimentazione di un musicista e cantautore eclettico e con lo sguardo sempre in avanti. L’addio a Pino Daniele non è stato un addio normale. Non solo per quella Napoli per cui ha rappresentato un’icona, il simbolo della creatività e della modernità ricercata senza mai abbandonare la tradizione, ma anzi rimescolandola, contaminandola con altre tradizioni, sonorità, altri ritmi.

La veglia collettiva è stata piena di poesia vera, spontanea, lontana dagli strilli, musicale, insensibile alla retorica. È stato un saluto sincero, un ringraziamento a chi, con un po’ di arte e ostinazione, si è fatto strada tra il popolo, in fretta, e poi ci si è messo accanto, cantando e suonando, riempiendo un’epoca durata più di trent’anni, accompagnando tante generazioni (e le rispettive emozioni), diverse tra loro ma tutte unite dentro al coro che fuoriesce da una canzone. Napule è, Quando, Je so pazzo, Quanno chiove, Na tazzulella e cafè, Nun me scuccià, Terra mia, A me me piace ‘o blues, Sicily, Alleria sono solo alcuni dei brani che Pino (come i suoi fan lo hanno sempre chiamato) ha regalato alla musica.

Una musica che non si è mai annoiata e si è sempre rinnovata, dai tempi di Che calore fino a ‘O scarrafone, Io per lei, Dubbi non ho, Amore senza fine, Sara e così via. La tradizione napoletana mischiata ai suoni orientali, nordafricani, caraibici e poi la scelta pop con le inflessioni rock e funky. In tutto questo, mai assente, l’amato blues. Quel blues che usciva con naturalezza dalla sua chitarra, attaccandosi alle atmosfere suscitate dalla sua voce inconfondibile. Pino Daniele ha reso popolare il blues in Italia, lo ha offerto, a volte in maniera incazzata altre volte con dolcezza, a una cittadinanza nazionale che appariva ancora ostile e restia a certe contaminazioni. Pino, più di tutti, ha saputo mescolare, ha unificato artisti e storie che erano parallele e che, senza il suo carismatico intervento di rottura, probabilmente non si sarebbero mai ritrovati insieme su un palco, in una tournee, dentro a una canzone o a un album.

Ha suonato e cantato con i migliori, ha aperto i concerti di mostri sacri come Bob Marley, Bob Dylan e Carlos Santana, ha impresso il suo marchio su un tempo che è passato e che, quando abbiamo avuto la triste notizia, ci è parso essere passato con una fretta eccessiva. Come se quell’epoca di incazzatura, di protesta, di emozioni, di addolcimenti pop, di note arabeggianti e poi di schitarrate caraibiche, di percussionisti fenomenali, con la vitalità sempre immutata, con l’amore per l’integrazione delle diversità e per la loro ricchezza, di colpo fosse finita, senza preavviso, senza prepararci all’idea che nel frattempo siamo cresciuti o invecchiati. Così la grandezza di Pino Daniele, che era per tutti noi scontata, una certezza talmente certa da non farci sentire il bisogno di ribadirlo, si è mostrata, prepotentemente, nelle vecchie canzoni che hanno cominciato a risuonare con elevata frequenza nelle radio e perfino in tv.

Una grandezza che la biografia di Pino racconta e che chiunque si avvicini alla musica dovrebbe conoscere. In questo nostro sito nel quale, in collaborazione con alcune importanti etichette indipendenti, proponiamo nuovi talenti o artisti che iniziano a calcare le scene o a ottenere i primi successi, non potevamo non iniziare l’anno se non omaggiando un grande che ci ha appena salutato, con l’augurio che anche chi non ne conosce la carriera e l’eccelsa qualità musicale possa rimediare e, al di là dei gusti che sono soggettivi, possa comunque, con onestà, riconoscerne il talento, l’apertura, la maestria, la grande capacità di innovare e di spingersi laddove la musica consente.

L’augurio è che, dentro le vostre sale prove, negli studi di registrazione, ci possa sempre essere uno spazio, un momento per provare a sperimentare e ad “unire” come ha fatto Pino. Per la musica, prima che per il proprio successo personale. E che magari, tra un vostro pezzo e un altro, si possa improvvisare un Je so pazzo, un Quando o una qualunque delle tante meravigliose testimonianze che egli ha consegnato alla storia immortale della musica.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org