Mentre a Roma si tace, a Palermo si combatte. Mentre nei palazzi di governo ci si volta dall’altra parte, nelle aule del tribunale e della procura di Palermo si cerca di battere il tempo e di salvare Nino Di Matteo. Le rivelazioni del collaboratore di giustizia, Vito Galatolo, rampollo di una delle famiglie più potenti di Cosa nostra, il quale ha raccontato del progetto di attentato contro il magistrato, cominciano a produrre i primi effetti. In settimana, le forze dell’ordine hanno compiuto una maxiperquisizione in vicolo Pipitone, storico quartier generale della mafia palermitana, e contemporaneamente effettuato l’arresto, in un’altra area della città, del boss Vincenzo Graziano, indicato come l’uomo che avrebbe dovuto procurare (in Calabria) e poi conservare il tritolo necessario per mettere in atto la strage. 

Il blitz in vicolo Pipitone, luogo nel quale le famiglie mafiose, due anni fa, hanno preso la decisione di uccidere Di Matteo, è stato energico e minuzioso, ma non ha prodotto lo sperato ritrovamento dell’esplosivo. Un elemento preoccupante, considerato che, come ha rivelato nel dettaglio Galatolo (la cui casa e il cui condominio sono stati perquisiti da cima a fondo), il progetto di attentato, ordinato alla fine del 2012 dal boss latitante Matteo Messina Denaro, non è mai stato accantonato. Fino a giugno scorso, infatti, quando Galatolo non era ancora stato catturato, la mafia stava pianificando la strage. Ecco perché i magistrati vanno avanti e cercano di rintracciare l’esplosivo, prima che si realizzi quanto voluto da Messina Denaro per fermare uno degli uomini che sta provando a scoprire una verità che in troppi vogliono tener sepolta negli armadi polverosi e sporchi della storia dei rapporti tra mafia e politica.

Cosa nostra ha fretta e ha deciso di tornare alla vecchia strategia della tensione. Segno che la trattativa non si è mai conclusa, è ancora aperta, prosegue. Di Matteo e i suoi colleghi sanno che la solidarietà della gente non basta più, che la situazione di caos politico rappresenta per i clan una condizione ideale per agire. Ideale è la debolezza di un governo che non parla di mafia, con un premier tutto impegnato in altri fronti, come l’inutile guerra ai sindacati o, al massimo, in un progetto di riforma della giustizia che non aiuta certo i magistrati coinvolti nella lotta al crimine organizzato, i quali, in più, devono far fronte alle tensioni legate alla nomina del procuratore capo e ad un rapporto difficile con il presidente della Repubblica.

Adesso, con le prossime dimissioni di Napolitano e una politica stagnante che si scontrerà aspramente e, probabilmente, tergiverserà sulla nomina del prossimo Capo dello Stato, si rischia uno scenario complicato nel quale Cosa nostra potrebbe decidere di farsi spazio con un atto eclatante e violento. Solo le istituzioni possono scongiurare questo pericolo, intervenendo concretamente a sostegno dei magistrati antimafia, dotandoli di strumenti di azione e di sicurezza necessari a svolgere al meglio il loro lavoro di accertamento della verità e di contrasto alla criminalità organizzata.

Da quello che vediamo, però, con un premier distratto e un ministro dell’Interno completamente assente, capace anch’egli di prodigarsi in annunci a cui non seguono i fatti (il bomb jammer è ancora una chimera), la sensazione è che, al contrario, si stia facendo di tutto per lasciare solo Di Matteo. E l’isolamento sappiamo già bene cosa ha prodotto in passato e cosa è capace di produrre ancora oggi. Lo scrivono in tanti, lo abbiamo scritto più volte, abbiamo diffuso notizie, appelli, petizioni, ma il governo non prende posizioni, si mostra indifferente, lontano, sordo a qualsiasi richiesta.

Lo ripetiamo ancora: a Palermo c’è il tritolo con cui Messina Denaro vuole far saltare in aria Di Matteo. Non è uno scherzo, non una battuta ad effetto. La magistratura e le forze di polizia stanno lottando con il massimo sforzo per sventare questo attentato, le istituzioni politiche no. Anzi, indirettamente lo stanno favorendo, stanno contribuendo a creare le condizioni affinché ciò possa avvenire. Consapevolmente o inconsapevolmente non sta a noi dirlo. Di sicuro, ci sono migliaia di persone che, in svariati modi e con svariate forme, chiedono di fare qualcosa; ché almeno non si possa dire un giorno (che speriamo non arrivi mai) “io non lo sapevo” o “abbiamo fatto il possibile”. Perché oggi tutti sappiamo e vediamo che non è per niente vero.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org