Per chi è nato come me negli anni ’90 o anche negli ultimi degli ’80 fa uno strano effetto pensare al Capo dello Stato in tribunale, ovunque si appronti quest’aula, se a Palermo o a domicilio. Qualunque sia il motivo, lo stupore è quanto meno d’obbligo. È un po’ come vedere Del Piero prendere a calci un ragazzino, come immaginarsi i Biker Mice dalla parte del cattivo. Questo perché penso di essere cresciuto con l’immagine del Presidente della Repubblica molto simile a un nonno affidabile. Purtroppo, con Napolitano questo non è successo e non credo sia solo colpa del nichilismo post adolescenziale.

L’udienza della maggiore carica dello Stato, al di là delle responsabilità vere o presunte, morali o penali (che fino ad ora non gli sono state contestate), non può non far riflettere. L’ambito in cui poi si consuma il processo sembra fatto apposta per atterrire. Mafia è un nome che quelli la cui coscienza è nata dopo il 1990 hanno imparato a disprezzare, anche se non sempre a riconoscere. Voglio proseguire sulla strada che ci porta ad astrarre gli eventi e cercarvi dei simboli e non soltanto un mero susseguirsi di azioni e reazioni.

Questo ragionamento mi porta a pensare che il crepuscolo di una generazione passata si veda in questo. Un mondo vecchio che si accartoccia su stesso, ultimo canto del cigno prima di eclissarsi per lasciare spazio a una nuova giornata. Una roba da film americano, in cui succede tutto di notte e poi, di colpo, arrivano l’alba e la speranza.

L’unico Presidente in carica per due mandati consecutivi che risponde alle domande dei magistrati come scena finale di quello che, colpevolmente, nessuno ha mai denunciato finché “tutto andava bene”. Non mi stancherò mai di prendermela con quelli che mi hanno preceduto e adesso fanno i profeti di sventure, con i buoi oltre la linea dell’orizzonte. Forse loro devono sentirsi parte di una trattativa Stato-mafia, simbolo indiscusso di una linea culturale che vede, nel lasciar correre, il corrispettivo (non meno spregevole) dell’omertà, e l’organizzazione mafiosa come qualsiasi tentativo di infilarsi come tumore dentro le regole e rovinare una società dall’interno.

Me li vorrei immaginare tutti davanti ai pm, complici colpevoli di un sistema che magari non si chiamava trattativa stato-mafia ma ne aveva, seppur leggermente diluiti, gli stessi contorni. Eppure, una volta di più, bisogna prendere in mano i simboli, maneggiarli ma poi superarli. Accartocciarsi in una spirale di lamentele serve solo a chi, come diceva De Andrè, “dà buoni consigli perché non può più dare il cattivo esempio”. Spero che il Presidente della Repubblica possa andare in pensione il prima possibile e con lui possano andare a fare i nonni quelli delle lamentele ex post, del “tanto si sapeva”.

Penna Bianca -ilmegafono.org