Applausi. Insensati e fuori luogo, come quando divengono un’abitudine popolare come quella di applaudire durante i funerali, quando le bare entrano o escono dalla chiesa, in un momento che richiederebbe soltanto silenzio e riflessione. Ridicoli e provinciali, come quelli che, ormai inesorabilmente, circondano il momento dell’atterraggio di un aereo. Abusati e svenduti, come quando vengono indirizzati, a turno, a questo o a quel personaggio politico, in barba alle idee, ai valori e a tutto ciò che va oltre lo steccato fatuo della comunicazione e del marketing. Ma sono bazzecole, piccoli fastidi che durano un attimo e poi se ne vanno via, depurati dalla constatazione che la gente è fatta così e non è certo quel batter di mani che ne aumenta vizi e difetti.

Poi ci sono altri applausi, squallidi, orribili, violenti, che invece ti restano sullo stomaco, viaggiano nel tuo intestino, mordono le tue budella, il fegato, accendono un fuoco che divampa velenoso nel tuo petto e tra i tuoi nervi, ustionando le resistenze, la pazienza, l’autocontrollo. Applausi che hanno un significato preciso, che lasciano un segno doloroso, come il sale buttato da una mano appartenente a un ghigno sadico su una ferita aperta.

Applausi che stonano con il senso di giustizia, con la civiltà, con la memoria non solo di un ragazzo giovanissimo scomparso per opera di coloro che quegli applausi li hanno indebitamente ricevuti, ma anche di tutti quelli che sono morti svolgendo il proprio dovere nel rispetto delle regole, dei principi sacrosanti dell’umanità, del dovere. Applausi che umiliano la parola “sindacato”, il concetto di legalità e di diritto che dovrebbe esserne la base.

L’Italia non aveva bisogno di questi applausi, non aveva bisogno di aggiungere anche questo gesto ignobile alla inettitudine politica, alla vigliaccheria dei corpi militari e dei vertici che negli anni hanno coperto le oscenità compiute da quelle mele marce che mettono in cattiva luce gli altri, cioè quelli che per una paga misera vanno a caccia di latitanti, si infiltrano per sgominare il traffico internazionale di droga, muoiono per indagare sulle ecomafie. No, quell’applauso è una pugnalata all’umanità, al senso di esistenza, al rispetto nel suo valore universale, oltre che a quello per un ragazzo innocente ucciso barbaramente e per la sua famiglia. Rispetto che è sempre mancato, a partire dalle manifestazioni a sostegno degli assassini di Federico Aldrovandi e agli insulti alla madre, alle minacce.

Rispetto umiliato e vilipeso nelle pagine facebook di maniaci in divisa, di gentaglia che ha in mano distintivo, manganello e pistola che noi gli affidiamo, mandati per strada, senza badare al fatto che potrebbero ripetersi e la prossima volta potremmo finirci noi a terra, uccisi dai loro colpi spietati. O magari ci potrebbero finire i nostri figli. Il capo della polizia ha espresso vicinanza ai familiari. Il Sap, invece, non trova al suo interno voci dissidenti. Il governo ha duramente condannato il gesto e, anch’esso, ha espresso solidarietà. Ma a cosa serve la solidarietà se poi, al prossimo giro, un altro ragazzo morirà? A cosa serve se dentro il corpo di polizia non esistono antiparassitari che mettano ko le mele marce?

Non bastano le parole. I casi sono tanti, troppi, gli episodi di violenza si sono ripetuti e si ripetono. Se ne parla solo nel momento più tragico, ma sono stati commessi anche altri gravi atti di prevaricazione che magari non si sono conclusi con l’omicidio ma ci sono andati vicini e hanno comunque leso la dignità delle persone. Cosa si aspetta a intervenire sulla polizia, a cambiarla? Lo ha chiesto la madre di Federico, lo chiediamo tutti noi. E non è il caso che ci si divida tra chi dice che i poliziotti sono tutti “merde” o che i poliziotti sono nervosi per via della vita che fanno, perché non è vera nessuna delle due cose.

Nel primo caso è un errore che dimentica le migliaia di poliziotti che lavorano per la collettività e lo fanno al meglio e con pochi mezzi a disposizione, dopo le tante politiche di tagli; nel secondo caso, se uno la pensa così o addirittura asserisce che le procedure sono quelle e che magari può accadere di esagerare (c’è chi lo scrive sui social) allora vuol dire che in Italia, dentro i corpi di polizia, c’è un problema di addestramento e di preparazione che va assolutamente risolto.

Ecco, forse prima di pensare ad addestrare le forze di sicurezza dei paesi nei quali siamo in “missione di pace”, come “esportatori di democrazia”, dovremmo pensare a quelle italiane, in Italia. Per evitare di dover riguardare ancora foto di massacri di innocenti dal volto tumefatto e dalla vita spezzata. Per evitare di dover, per giunta, sentire lo scroscio arrogante e criminale degli applausi schifosi rivolti ai vigliacchi esecutori di quei massacri. Per fare in modo anche che chi ogni giorno fa il proprio dovere in maniera impeccabile non debba trovarsi marchiato da etichette generalizzanti che non rendono giustizia ai propri sacrifici e alla propria umanità.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org