Non si placano le tensioni in Ucraina, nonostante l’accordo firmato giovedì a Ginevra tra rappresentanti di Kiev, Russia, Stati Uniti ed Unione Europea. I separatisti filorussi, che da giorni occupano gli edifici pubblici nelle principali città dell’est, come Donetsk e Luhansk, hanno rifiutato l’accordo e continuano a chiedere un referendum sulla secessione da Kiev. L’accordo siglato a Ginevra prevede “lo scioglimento dei gruppi armati illegali” in tutte le regioni dell’Ucraina, la “riconsegna degli edifici governativi occupati”, lo “sgombero” di strade e piazze presidiate e “l’amnistia per tutti i manifestanti”, tranne per coloro che hanno commesso “gravi reati”. In base all’accordo, il governo ucraino dovrebbe poi avviare un processo di revisione costituzionale per garantire i diritti dei russofoni.

I separatisti sono determinati però a continuare la protesta finché non sarà fissata una data per il referendum sulla secessione, in particolare a Donetsk. Cittadini russofoni intervistati dal quotidiano “The Guardian” hanno anche dichiarato che non riconoscono né l’autorità di Kiev né quella di Mosca e che l’accordo di Ginevra non li rappresenta. Denis Pushilin, capo dell’autoproclamata repubblica di Donetsk, ha detto ai giornalisti che il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha firmato l’accordo “a nome di Mosca” e non dei separatisti ucraini.

L’attuazione dell’intesa sembra quindi piuttosto difficile, anche perché nelle violenze dell’ultima settimana sono morte almeno tre persone. Non si sa per altro cosa abbia convinto la Russia, fino a pochi giorni fa pronta a un intervento armato in Ucraina, ad accettare la proposta. Il presidente Usa, Barack Obama, da parte sua, ha detto che l’incontro di Ginevra tra Russia, Ucraina e potenze occidentali è stato “promettente”, ma ha minacciato nuove sanzioni contro la Russia nel caso in cui la situazione non migliori.

Non è detto però che gli alleati europei degli Stati Uniti possano accettare un inasprimento delle sanzioni. L’inquietudine internazionale per la crisi in Ucraina è strettamente legata infatti alle forniture di gas provenienti dalla Russia, su cui molte nazioni europee contano per soddisfare il proprio fabbisogno interno di energia. Mosca ha firmato con diversi stati europei il contratto per la costruzione del gasdotto South Stream, un progetto promosso dalla russa Gazprom e dall’italiana Eni, per il trasporto di gas naturale dalla Russia sui mercati europei. Il South Stream è destinato a trasportare fino a 63 miliardi di metri cubi di gas naturale e dovrebbe essere realizzato entro il 2018.

Il governo russo ha già minacciato di modificare il tracciato del gasdotto, che per ora dovrebbe attraversare le acque territoriali bulgare del Mar Nero, per poi arrivare attraverso altri paesi balcanici fino a Tarvisio, in provincia di Udine. Se quindi la fase di stallo in Ucraina dovesse continuare, potrebbe verificarsi una nuova “crisi del gas” con la Russia in una posizione di netto vantaggio.

G.L. – ilmegafono.org