Sono arrivate le prime condanne al processo sul patto tra mafia e camorra relativamente al controllo sui trasporti di merci e sui mercati ortofrutticoli. Tra i condannati ci sono anche Gaetano Riina, fratello del famigerato boss corleonese, e Francesco Schiavone, cugino e omonimo del boss casalese noto come “Sandokan”. Un processo che nasce dalla grande inchiesta che aveva smascherato l’accordo tra i clan delle due mafie per la gestione dell’agroalimentare, un settore nel quale la criminalità organizzata da sempre affonda le mani e che, ultimamente, da nord a sud, è diventato un mercato di investimento da cui trarre profitto e attraverso cui rafforzare il controllo sul territorio.

Mafia e camorra si spartivano (e si spartiscono) dunque un ambito su cui anche la ‘ndrangheta è molto attiva, se si pensa a quanto avviene anche al nord e, in particolare, all’Ortomercato di Milano, luogo in cui i boss calabresi, in collaborazione con quelli della mafia gelese e anche della camorra, hanno dettato e dettano tuttora legge, gestendo le tante attività che si muovono attorno all’infrastruttura. Un filo torbido e sporco, pertanto, lega le estremità della Penisola, lungo le quali si muovono, in solido equilibrio, molteplici interessi criminali. Un monopolio, un affare da 14 miliardi di euro, un bacino di profitto illegale, mascherato con attività apparentemente pulite.

Colletti bianchi che, come scrive Giancarlo Caselli sul Fatto Quotidiano del 24 marzo scorso, sono “investiti di compiti e funzioni di primo piano nell’economia: che però continuano a far leva su posizioni di forza, di intimidazione e di ricatto, mettendo a punto affari duraturi e lucrosi […] che sempre più interessano le frodi alimentari”. Frodi che, come spiega Caselli e come risulta dalle inchieste, sono sempre più legate a manipolazioni alimentari, sofisticazioni, cibo di scarsa qualità e di origine straniera che viene contraffatto e spacciato per made in Italy, con un danno notevole per l’immagine del nostro Paese oltre che per la sicurezza e per la salute dei cittadini.

Sono sempre le fasce meno tutelate che risentono dei rischi della contraffazione e delle frodi alimentari: “L’odioso inganno dei cibi adulterati – scrive ancora Caselli – colpisce soprattutto quanti dispongono di una ridotta capacità di spesa e sono costretti a rivolgersi ad alimenti di minor costo. L’Italia inoltre è un forte importatore di alimenti che poi diventano ingredienti di prodotti spacciati come nazionali, senza che si possano riconoscere provenienza e qualità di tali ingredienti”. Non è solo una questione di controlli, ma anche di normativa, relativamente alla tracciabilità e all’etichettatura degli alimenti (ne abbiamo parlato spesso su queste pagine).

Resta il fatto che le organizzazioni criminali hanno alzato il tiro, investendo sempre di più su un comparto che garantisce guadagni, sbaragliando la concorrenza legale, togliendo il respiro agli imprenditori onesti e compromettendo la qualità e il nome del made in Italy. Il radicamento dei clan è capillare, come dimostrano le operazioni di polizia, le inchieste, i processi, l’ampiezza, caratura ed eterogeneità dei clan coinvolti. Palermo, Fondi, Trapani, Milano: la geografia delle infiltrazioni mafiose nei mercati e nel settore agroalimentare è ben delineata e queste quattro località non completano la mappa delle tante altre realtà, in Campania come in Sicilia, in Puglia, in Calabria, in Lombardia e nel resto del nord, inquinate dai tentacoli del potere criminale.

La crisi ha amplificato ulteriormente tale potere e reso più deboli le resistenze, che in alcuni luoghi sono ancora più ridotte dal momento che né le istituzioni né le locali associazioni di categoria denunciano o intervengono. Nel frattempo, la gente comune mangia senza saper bene cosa mangia e da dove proviene il cibo, ingurgita il frutto del monopolio mafioso, assaggia, mastica e ingoia l’inchiostro tossico dei miliardi che i clan si mettono in tasca, in barba alla salute dei cittadini e in sfregio all’inerzia del legislatore. D’altra parte, fa male dirlo, ma anche questa è ormai considerata una antica tradizione italiana.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org