Che cosa hanno in comune Portogallo, Grecia, Italia, Irlanda e Spagna, spesso chiamati dispregiativamente PIIGS (gioco di parole che richiama il plurale del termine inglese pig, cioè maiale)? Sicuramente la religione cattolica, tra quelle cristiane, ma soprattutto un debito sovrano, gigante e poco sostenibile. Era il 15 settembre del 2008 quando la banca d’affari americana Lehman Brothers vedeva crollare i suoi titoli in borsa segnando cosi l’inizio dell’attuale crisi finanziaria. La faccio brevissima: in ben poco tempo, il virus americano dei titoli tossici scoppia totalmente, infetta il sistema bancario mondiale e blocca l’economia reale, ovvero i consumi, la produzione e il credito.

Arrivano gli stati sovrani, che, con tanto di politica fiscale, cercano di sollevare il morale economico, ma finiscono per indebitarsi a loro volta. Si finisce cosi per rischiare il collasso, in quanto all’apertura del mercato, quando vi è l’acquisto dei titoli di Stato, spesso alcuni paesi non riescono a chiudere le aste nella loro totalità.

Fu cosi che a maggio del 2010, gli stati membri dell’Unione Europea aderenti alla moneta unica creano il “Fondo europeo di stabilità finanziaria” (FESF), per gli amici “Fondo salva stati”. Fondo che faceva da cassa comune, e quando uno dei membri rischiava di far traballare tutti gli altri gli venivano concessi aiuti. Nel 2012 il gioco cambia le regole. Il fondo si chiama “Meccanismo europeo di stabilità” (MES) e viene inserita la regola del bail-in, secondo la quale i creditori privati devono partecipare al sacrificio del debito insoluto, abbuonando il 50%. Inoltre, il primo ospite che si autoinvita in queste situazioni è la Troika, il gruppo dei rappresentanti della Banca centrale europea, della Commissione europea e del Fondo monetario internazionale pronto a redigere piani di austerità da far attuare ai politici locali.

Ma in Europa, siamo solo noi che “stiamo per fare la fine della Grecia”? Assolutamente no, la Spagna è nella nostra stessa situazione e anche altri due paesi di cui non si parla molto spesso: Irlanda e Portogallo. L’Irlanda quest’estate ha annunciato il nuovo piano di austerità da 15 miliardi, cifra enorme per un paese piccolo come quello. Il governo di Dublino dovette accettare nel 2008 un prestito di 90 miliardi concesso dalla Troika, ora da ripagare. In Portogallo le cose sembrano non cambiare: 5 miliardi di tagli da spalmare in tre anni, il ministro degli esteri Portas che si dimette proprio per via della difficoltà a sostenere le continue richieste dei creditori ai danni del Paese, creando cosi una spaccatura nel governo sulla questione. Lo stesso Portas, però, è stato nominato come interlocutore con la Troika.

La ricetta anti-crisi consigliata dai medici è più semplice di come ci si possa immaginare: tagliare le spese e aumentare le tasse. Sembra quasi una frase populista di un comizio di Grillo, ma effettivamente per il momento tutti gli stati fortemente indebitati stanno usando questa formula fatale. Si parla di aumenti dell’IVA, tagli alle pensioni, tagli alla sanità pubblica, tagli ai sussidi alle imprese, tagli alla scuola e all’università, licenziamenti di massa nel settore pubblico e riduzioni di tutte le fonti di spesa che le nostre democrazie hanno potuto costruire grazie a delle costituzioni egalitarie e garantiste. La Grecia, per recuperare fondi, ha venduto delle isole, dunque il proprio territorio.

Apparentemente complesse, le prassi di statistica predittiva dell’economia, i modelli della macroeconomia, le formule idrauliche delle politiche monetarie, in momenti di crisi sembrano ridursi alla semplice procedura fallimentare della liquidazione dei beni d’azienda. Inoltre, se qualche sindacato rinato dalle sue ceneri o un partito di opposizione fa muro e rallenta la svendita, allora in breve tempo giungono le urla delle agenzie di rating, di alti commissari europei e, se proprio è necessario, anche il presidente degli USA si scomoda per una telefonata per accelerare il processo. In realtà, le alternative ci sono, come per esempio i discussi Bond europei, ma si sa come vanno a finire le buone soluzioni.

John Maynard Keynes non avrebbe avuto che un grande sorriso se fosse stato qui con noi oggi, in quanto, oltre a quella che lui chiamava crisi di fiducia e quindi trappola di liquidità, nessuno pensa ai consumi.

“Pittima è il termine con cui in passato veniva definita, particolarmente nelle repubbliche marinare di Venezia e Genova, una persona pagata dai creditori per seguire costantemente i propri debitori. La pittima poteva gridare a gran voce per mettere in imbarazzo il debitore, e il suo costante pedinamento era volto a sfiancarlo così che si decidesse a saldare il debito, la cui riscossione gli poteva fruttare una percentuale più o meno congrua. La pittima vestiva di rosso, affinché tutti sapessero che il perseguitato dalla pittima era un debitore moroso. Questo aumentava l’imbarazzo dovuto al pedinamento della pittima”.

Le somiglianze di una pittima con la Troika sono notevoli e l’idea più dolorosa di tutte è il lento affondare di uno stato sociale che non si è riuscito a consolidare, con gravi colpe delle classi dirigenti passate. Potrebbe essere questa la vera occasione per il passaggio finale del sogno dei fondatori dell’UE, ovvero, l’unione politica?

Angelo Petrone -ilmegafono.org