C’è una storia di nefandezze che ti insegna a non fidarti delle coincidenze, a valutare con sospetto e attenzione i fatti e soprattutto le analogie negative. In Sicilia è in atto un assalto al territorio, un tentativo di sacco, termine che richiama alla memoria la tragedia di una Palermo sventrata, abusata dal cemento, modificata irreversibilmente dalle mani sporche di Ciancimino e dei suoi sodali mafiosi. Questa volta, però, non è una sola città ad essere sotto attacco, ma l’intera regione, le sue bellezze naturali, le aree più pregiate sul piano ambientale, paesaggistico, culturale. A ciò si aggiunga la salute dei cittadini, che rimane irrimediabilmente coinvolta da questa azione predatoria. Non c’è un attimo di tregua per l’isola, perennemente al centro degli interessi di gruppi, più o meno grandi, bramosi di azzannarne le risorse più preziose e di sfruttarne la posizione privilegiata sul Mediterraneo.

Gli americani, come sempre, sono i più attivi, sia a livello di aziende che a livello di Stato. Dai tentativi della Panther Oil che voleva riempire il Val di Noto, patrimonio dell’Umanità Unesco, di trivelle per l’estrazione del petrolio, a quelli della Marina Militare Usa di ampliare la base di Sigonella, realizzando delle strutture abitative (almeno ufficialmente) in contrada Xirumi, vicino Lentini (Sr), fino al recente progetto del MUOS, con la lotta dei cittadini di Niscemi e dei comuni limitrofi, i quali si oppongono ad un progetto che il governo nazionale, in nome di vincoli internazionali, continua ad avallare, nonostante la gente sia contraria, nonostante i rischi per la salute e la revoca delle autorizzazioni che il governo regionale, seppur con ritardo, aveva disposto.

Se i primi due tentativi sono falliti, grazie a un grande movimento popolare di protesta,  l’ultimo sembra invece destinato al successo, in virtù anche al poco coraggio (o mancanza di convinzione?) dell’attuale giunta regionale. Ma non ci sono solo gli americani a minacciare la Sicilia. Le coste siciliane sono la mira prediletta di gruppetti che hanno pensato di trasformare luoghi incontaminati e amati proprio per la scarsa antropizzazione, in zone turistiche affollate, discoteche all’aperto piazzate su lidi privati che poi, con il tempo, inizieranno a buttare cemento, fare parcheggi, centri per congressi e ricevimenti, ristoranti, villaggi ecc. Un film già visto, tante, troppe volte. E che si ripeterà, c’è da scommetterci, anche all’Isola delle Correnti, zona SIC e ZPS, nell’estremo lembo sud orientale della Sicilia.

Vedremo anche se la questione del villaggio nell’area di pregio della Pillirina (Siracusa) si risolverà in maniera positiva e definitiva, perché il rischio di brutte sorprese è ancora alto. Poi ci sono le discariche, come quella che un’azienda di Agrigento (SoAmbiente) vuole piazzare a poche centinaia di metri da Cavagrande, dove esiste una riserva incantevole, ricca di biodiversità e con due laghetti dalla bellezza paradisiaca. Una discarica che, secondo il piano paesaggistico regionale, non potrebbe insistere su quell’area, e che è il frutto di un passato di autorizzazioni inspiegabili. Allo stesso modo del complesso abitativo di lusso che dovrebbe sorgere sul promontorio di Scala dei Turchi, la celebre “montagna bianca” sul mare di Realmonte (Agrigento), dove pochi mesi fa era finalmente stato abbattuto, dopo anni, un ecomostro costruito abusivamente sulla riva.

Autorizzazioni, pareri positivi delle Sovrintendenze (ogni volta, inspiegabilmente), rilasci facili dell’A.i.a. (Autorizzazione integrata ambientale), come nel caso della discarica di Cavagrande, giochi di magia sul principio del silenzio-assenso e sui tempi: la burocrazia è diventata l’arma attraverso cui i nuovi predoni (che non si estirpano, perché si rigenerano in fretta) blindano le loro brame nefaste. È chiaro che, in questi casi, ciò è possibile soltanto se si hanno dei complici affidabili laddove è importante averceli. Ecco perché alle coincidenze abbiamo smesso di credere da tempo. Lo scherzetto delle autorizzazioni, degli inghippi burocratici, dei pareri unidirezionali e dei ravvedimenti tardivi non ci inganna.

È lì che bisogna spingersi nell’azione di lotta come nell’inchiesta, sperando che la magistratura (visto che il governo regionale non agisce a dovere) possa intervenire ponendo un freno. Dalla politica (quella parte pulita ovviamente), invece, dovrebbe arrivare una richiesta di rimodulazione delle procedure, trovando il modo di blindare certi vincoli, di rendere affidabile e seria la commissione che rilascia l’Ai.a., di affiancare alle Sovrintendenze, nella formulazione dei pareri, persone che abbiano esperienza riconosciuta in materia di tutela dell’ambiente. Bisogna fare in fretta, perché tra qualche anno di questa isola meravigliosa non esisteranno che macerie sepolte sotto cemento, discariche, impianti industriali e abitazioni di lusso. E, soprattutto, responsabilità maleodoranti.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org