Sarà l’età, sarà quel pizzico di disillusione in più che è figlio dei tempi e della situazione politica, stagnante a dispetto delle promesse e per di più inquinata dalle “distrazioni” pericolose, arricchite da sit-in in difesa di un capo e da processi ridicoli interni a dissidenti che hanno avuto l’ardire di esprimere un’opinione libera, non drogata dall’idolatria (che è sempre ottusa). Sarà che mi hanno abituato a non credere facilmente alle buone notizie, ma a guardarvi sempre dentro, smembrandole e analizzandole pezzo per pezzo. Sarà tutto ciò a non rendermi partecipe dell’entusiasmo che ho visto dilagare dopo che la Consulta ha negato a Silvio Berlusconi il legittimo impedimento in relazione al processo Mediaset. La notizia, che ha fatto il giro del mondo in pochi minuti, l’ho letta senza provare il minimo trasporto.

Per due ragioni: una, secondaria, legata al fatto che del destino del Caimano ormai non me ne importa nulla, che il suo domani non mi appassiona e non credo che la sua fine politica possa essere affidata al lavoro della magistratura; la seconda ragione, quella decisiva, riguarda la convinzione (se sia sbagliata o meno me lo dirà il tempo) che il salvataggio dai suoi guai giudiziari, Berlusconi se lo sia già assicurato qualche mese addietro, quando il suo appoggio è diventato fondamentale (grazie all’incapacità del Pd di Bersani e all’intransigenza di Grillo) per la nascita del governo Letta, partorito dal disegno e sotto la regia di Giorgio Napolitano, fresco di rielezione. Sulla prima ragione c’è poco da dire, se non aggiungere l’auspicio che la fine del Caimano e della sua scriteriata idea di Italia che ha diffuso in maniera virale tra le coscienze della gente, giunga a causa di un’azione politica, democratica, istituzionale.

La discussione sull’ineleggibilità, una delle battaglie del Movimento 5 Stelle (se si concentrassero più sulla loro attività e meno sulle idiozie del loro capo, come ha detto giustamente l’epurata Gambaro, ne avrebbe giovamento il Paese), va avanti e potrebbe portare a una conclusione politica di un’ingombrante carriera istituzionale che sarebbe così stroncata dall’istituzione cardine della democrazia, senza attendere sentenze che producono comunque polemiche e rinvigoriscono i soldatini narcotizzati e i servi della gleba al soldo del Cavaliere. Sarebbe di sicuro più entusiasmante liberarsi di lui attraverso un percorso che sia espressione (istituzionalizzata) della volontà popolare.

Per quel che riguarda la seconda ragione, la gioia sfrenata di chi esulta di fronte alla decisione della Corte Costituzionale fa quasi tenerezza, perché è il frutto di una stanchezza legittima che si mischia con la speranza di poter tornare a vivere in una nazione più normale, meno “eccezionale” (nel senso negativo del termine). Sembra quasi che il problema sia solo lui, il suo essere seduto dentro uno scranno parlamentare o una poltrona di governo. Magari fosse così, ma purtroppo non lo è, perché Berlusconi è un burattinaio, pericoloso e abile, ma non è l’unico.

Al di là di ciò, comunque, a inibire maggiormente il mio entusiasmo è la quasi certezza che non ci sarà l’esito atteso dai più, e questo probabilmente è il motivo per il quale la sua reazione è stata abbastanza controllata: nessun richiamo al popolo, nessuna marcia in tribunale, nessuna minaccia ossessiva ai comunisti complottisti, ma un finto senso di responsabilità e un’esortazione al governo ad accelerare su alcune misure in materia di economia. Il suo solito bluff, che però, questa volta, si basa sulla conoscenza sicura delle carte in mano ai compagni di gioco/avversari/ex avversari. Il piatto sarà suo, non avrà bisogno nemmeno di rilanciare. Tutto è già avvenuto. Dal suo passato di re del calcio e del calciomercato, il Caimano ha tirato fuori la capacità di contrattare e ottenere. Un do ut des che alla gran parte degli italiani è sfuggito. Perché, lo ripeto spesso, siamo il popolo che crede alle coincidenze, alle convergenze, al caso. Il governo nasce con un accordo siglato sotto l’egida di Giorgio Napolitano, il vero premier italiano da due anni a questa parte.

Un accordo che, fino a pochi mesi fa, sarebbe apparso fantascientifico, impossibile, surreale. Anche perché dopo il fallito tentativo di Bersani di accordarsi con un Movimento 5 Stelle che non aveva intenzione di partecipare all’assunzione di responsabilità legate a quel cambiamento che ha contribuito a sollecitare (bisogna dargliene atto), il Pd aveva perso parecchi punti, così come i grillini, mentre il Pdl e, soprattutto, Berlusconi risalivano nei sondaggi. Come mai non ha scelto di andare al voto e provare a vincere, a essere quantomeno in una posizione di comando? Probabilmente perché non conveniva, perché spingere verso il ritorno al voto sarebbe stato considerato dagli italiani un atteggiamento inaccettabile di irresponsabilità, e anche perché la necessità prioritaria era quella di trovare il modo per salvarsi dai processi ormai in fase di conclusione (con prospettive poco confortanti, in quel momento).

Meglio blindarsi nel modo migliore, quello adeguato a un imprenditore furbo e scaltro e a un uomo di mercato: lasciare agli altri il timone, abbassarsi per far passare la piena, divenendo al contempo un peso fondamentale per mantenere la bilancia in equilibrio e ottenere in cambio la propria salvezza. Sarà un caso che i vertici del Pd, quelli fedeli alla linea di Napolitano, i protagonisti dell’accordo con il vecchio nemico (ma sui contorni reali di questa inimicizia permettetemi qualche dubbio) hanno risposto con freddezza a chi chiedeva di approvare subito una legge che garantisse l’ineleggibilità di Berlusconi.

Sarà sempre un caso, una coincidenza se, all’indomani della sentenza di condanna in appello del Caimano, con rinvio decisivo dunque alla Cassazione, la stessa Cassazione ha eletto come suo nuovo presidente Giorgio Santacroce, gradito ai consiglieri di centrodestra e, in passato, testimone al processo Imi-Sir, per una cena con Cesare Previti. Per carità, nessun dubbio sull’integrità morale del magistrato, che ha un curriculum notevole e prestigioso, però certe scelte in momenti come questi autorizzano a non fidarsi molto delle coincidenze. Chi è diffidente per natura non può fingere che sia tutto un caso e ha la tendenza ad aspettarsi il peggio. E allora mi scusino gli entusiasti e gli ottimisti se non me la sento di festeggiare una buona notizia che ne precede, ne resto convinto, una cattiva.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org