Mi piacerebbe che almeno una volta si smettesse di fingere, di avere l’ansia di mostrarsi responsabili, democratici, concilianti. Mi piacerebbe, per una sola volta, che si riuscisse a scollare dal mosaico complesso dei valori e dei principi quella forma mielosa e distorta di rispetto che scade quasi automaticamente in una irritante forma di ipocrisia. Nulla da dire ai coerenti, a coloro che onestamente mantengono in ogni circostanza, indipendentemente dal protagonista di un fatto, la loro idea sui comportamenti di chi rappresenta un’istituzione. Riguardo agli altri, invece, si può dire e  pensare una sola cosa: o sono stati tutti colti da una crisi mistica che li ha rabboniti oppure si sono adeguati al clima da “vogliamoci bene per il futuro del Paese” di matrice lettiana (nipote e zio) che è tanto inutile e pericoloso quanto falso. A quanto pare, basta una stretta di mano mancata a stimolare i moralismi e a cancellare la memoria, oltre che a distrarre, come spesso accade, dalla realtà.

Già, la memoria e la realtà, due concetti che sfuggono a chi non si dice d’accordo con l’atteggiamento del ministro Cécyle Kyenge, che si sarebbe rifiutata di stringere la mano al capogruppo della Lega al Consiglio comunale di Milano, Alessandro Morelli. Memoria e realtà, due concetti legati. Strettamente. La realtà ci dice che la Kyenge, come si può vedere nel video che ha fatto il giro del web, viene avvicinata da un tizio, di cui molto probabilmente non sa alcunché. Lo guarda, ma non ha nemmeno il tempo di accorgersi chi sia e cosa voglia, visto che lo stesso viene stoppato da un uomo della sicurezza che gli impedisce di avvicinarsi, mentre nel frattempo un altro uomo della scorta dice al ministro che è l’ora di andare via; considerata la dinamica del fatto, allora, non parlerei di stretta di mano rifiutata, ma di un normale intervento del servizio di sicurezza. Ma forse fa meno notizia. 

Si obietterà che successivamente Morelli, il quale nel frattempo si era qualificato, ha cercato più volte di ottenere (vanamente) quella stretta, venendo del tutto ignorato. Come mai? Cattiva educazione? Atteggiamento arrogante di chi, come commentano in molti, dovrebbe agire da ministro della Repubblica e quindi rivolgersi con la stessa considerazione a tutti, compresi gli avversari politici? Facendo finta di non ricordare la dinamica dell’accaduto, potremmo perfino sostenere che, in linea di principio, la critica sarebbe accettabile. Solo che poi ci viene in aiuto la memoria, che ci spiega tutto e ci suggerisce che Cécyle ha ragione. Pienamente ragione.

Per coloro che avessero bisogno di rinfrescarsela questa memoria, vorremmo solo ricordare che il ministro Kyenge, sin dai minuti successivi alla sua nomina, è stata oggetto di insulti volgari, razzisti, maschilisti, osceni, di accuse insensate, perfino di essere la mandante morale dell’omicidio commesso da un folle che, per puro caso, questa volta era di origine africana. Ha subito minacce terribili alla propria incolumità, così come le ha subite la presidente della Camera, Laura Boldrini, come lei nota per l’impegno a favore dei migranti, della cittadinanza e contro il razzismo e le leggi vergogna che l’Italia, con la Bossi-Fini e il pacchetto sicurezza di Maroni (normative made in Lega), ha prodotto in questi ultimi anni. Tutto questo gioco al massacro solo per il fatto di essere il primo ministro di pelle nera della Repubblica italiana.

Una Repubblica razzista che, da diversi anni, sopravvive però proprio grazie al lavoro dei migranti, i quali producono una parte del Pil, fanno figli (permettendo ad un Paese a nascite ridotte di svecchiarsi e di progettare un futuro), pagano le tasse e impediscono lo shock sociale di un popolo sempre più solo, privo di welfare e di assistenza. Nell’Italia caotica e tesa di oggi, dove si spara per strada e si intensifica il rischio di attentati e di aggressioni, come si può pensare  dunque, che una donna finita nel mirino di gruppi di fanatici si lasci avvicinare da un emerito sconosciuto? Il fatto poi che si sia qualificato come il capogruppo della Lega Nord non migliora certo le cose, visto che la maggior parte degli insulti sono arrivati proprio da esponenti di primo piano della Lega, che hanno identificato la Kyenge come il bersaglio da colpire per nutrire la propria propaganda intrisa di retorica razzista.

Quando la Lega, a Milano, ha accusato il ministro di essere responsabile del triplice omicidio avvenuto nel quartiere Niguarda, non mi pare che il capogruppo Morelli si fosse dissociato da certe vergognose prese di posizione e da certe parole. Così come nulla ha obiettato quando lo sciagurato rappresentante delle camicie verdi che siede ancora al Parlamento europeo (Borghezio) si è lasciato andare ad epiteti offensivi nei confronti di Cécyle, apostrofando con la consueta “eleganza” leghista la scelta di nominarla ministro; parole che probabilmente (ce lo auguriamo) gli costeranno finalmente l’espulsione dal Parlamento. Per non parlare degli anni di violenze verbali (e non solo) nei confronti dei migranti, degli africani, dei neri, le campagne d’odio e criminalizzazione, i disinfettanti spruzzati addosso alle donne nere sui treni, i gadget “igienizzanti” distribuiti durante le campagne elettorali da alcune sezioni della Lega, i toni terribili a cui assistiamo da anni.

Tutto dimenticato, tutto messo da parte in nome di un presunto bon ton a cui un rappresentante di governo sarebbe obbligato a conformarsi. Eppure abbiamo passato decenni a vedere i nostri governanti lasciarsi andare a strette di mano sacrileghe, con dittatori, mafiosi, corrotti e criminali. E a lamentarci di tutto ciò. Per una volta che qualcuno, coerentemente e senza ipocrisia, decide di far selezione e di non lasciarsi andare alla ritualità becera di una politica artefatta e promiscua, ci ricordiamo l’esistenza di presunte buone maniere? E poi, chi lo ha detto che il ministro deve essere il ministro di tutti?

Lo deve certamente essere dei cittadini che si  ispirano alla Costituzione e che vivono nel rispetto dei valori della nostra Repubblica e della nostra democrazia, non di certo di coloro che vogliono la secessione, che creano luoghi o parlamenti alternativi, che insultano la bandiera italiana (ma non i soldi degli incarichi elettivi) e la Capitale. Stesso discorso vale per mafiosi, neofascisti, neonazisti e tutti coloro che vivono ai confini dei valori democratici. La stretta di mano, pertanto, qualche volta, si può anche negare. Anzi la si deve negare.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org