Come ogni Primo Maggio che si rispetti, anche quest’anno migliaia di persone sono scese in piazza in tutto il mondo per celebrare la Festa del Lavoro. Migliaia di giovani, forse disoccupati o precari,  hanno partecipato a Roma al classico “concertone” di piazza San Giovanni. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, così come altri capi di Stato e di governo stranieri, hanno tenuto i loro discorsi celebrativi, altisonanti, pieni di denunce, condanne e buoni propositi. I segretari generali di Cisl, Uil e Cgil hanno deciso di celebrare la Festa dei lavoratori a Perugia dove, a marzo, un imprenditore ha ucciso due impiegate della Regione per poi suicidarsi.

Tutti o quasi gli esponenti politici e sindacali in Italia hanno parlato della necessità di restituire centralità al lavoro. “Dobbiamo dare le risposte che la società si aspetta”, ha detto il neoministro del Lavoro, Enrico Giovannini, a margine della cerimonia per l’omaggio ai caduti sul lavoro davanti alla sede dell’Inail. “Non è un impegno facile – ha aggiunto – e va risolto anche in un’ottica europea”. Il ministro, che fino a pochi giorni fa era presidente dell’Istat, ha aggiunto che “una riforma del lavoro disegnata in modo coerente per un’economia che cresce può avere problemi per un’economia in recessione. Dobbiamo capire cosa modificare, ma il mondo del lavoro ha bisogno della stabilità delle regole”.

Far rispettare le regole, aumentare i controlli e combattere l’evasione fiscale sono sicuramente azioni prioritarie per migliorare la situazione del mercato del lavoro nel nostro Paese. Tuttavia, mentre i nostri politici, dopo essersi presi due mesi “sabbatici”, cercano di “capire cosa modificare”, la disoccupazione in Italia cresce e con essa tutti i problemi dovuti alla presenza di un mercato del lavoro “atrofizzato”. Secondo l’ultimo bollettino Istat, i disoccupati in Italia sono l’11,2% della popolazione attiva, 2 milioni e 950 mila.

Di per sé il dato non è allarmante come quello di altri Paesi (vedi Grecia, Portogallo o Spagna), se non fosse per il fatto che ben 635 mila giovani fino a 24 anni sono senza lavoro, il 38,4% delle nuove leve, mentre il tasso di inattività delle persone in età da lavoro è pari al 36,3%. I dati Istat mettono in evidenza, inoltre, la discrepanza tra il numero di uomini occupati (65,9%) e il numero di donne che lavorano (46,7%), con una differenza a sfavore di queste ultime di 19,2 punti percentuali. Anche il tasso di disoccupazione mensile è del 10,7% per gli uomini e del 12,7% per le donne. Per non parlare poi delle differenze tra Nord e Sud.

La quota dei dipendenti in attesa di rinnovo o del proprio contratto collettivo, inoltre, rappresenta ben il 40,8% del totale dei lavoratori del nostro Paese (il 23,4% nel settore privato). L’Istat ci segnala anche che l’attesa del rinnovo per i lavoratori con il contratto scaduto è, in media nel nostro Paese, di 28,8 mesi per l’insieme degli occupati e di 6,2 mesi per quelli del settore privato. L’atrofia e la difficoltà di accesso dei giovani al mondo del lavoro fanno sì che le retribuzioni dei lavoratori italiani siano tra le più basse d’Europa in relazione al costo della vita. Gli stipendi dei lavoratori italiani a marzo 2013 sono rimasti stabili rispetto al mese precedente e sono aumentati in media solo dell’1,4% rispetto a un anno fa.

I dati parlano chiaro, ma non sono sufficienti per capire di cosa ha bisogno l’Italia. Per riformare il lavoro serve un dibattito serio su quale futuro vogliamo per i nostri giovani e un confronto generazionale cui dovrebbero contribuire i sindacati, liberandosi di vecchi modelli “ideologici” ormai obsoleti. È significativo che quest’anno, a Bologna, siano scesi in piazza fianco a fianco lavoratori e imprenditori, per ricordare una festività che da sempre è “bastione dei sindacati”. Voci diverse hanno condiviso lo stesso palco con obiettivi comuni, le richieste degli uni si sono confrontate con quelle degli altri, alla ricerca di soluzioni accettabili per entrambi.

Nelle migliaia di piccole e medie imprese italiane gli imprenditori e i lavoratori, schiacciati dalla crisi e da un modello di sviluppo deleterio, sono ormai sulla stessa barca, mentre i dirigenti delle grandi aziende rimangono lontani sia dagli uni che dagli altri, come i parlamentari nella loro gabbia di vetro. La manifestazione di Bologna, per quanto inusuale, rappresenta un primo passo avanti verso una possibile unità d’intenti che ormai nel nostro Paese non è solo necessaria, ma indispensabile.

Giorgia L. –ilmegafono.org