Da una decina di giorni ha aperto a Parigi un’incredibile retrospettiva dell’artista americano Keith Haring (1958-1990), che sarà fruibile fino al 18 agosto tra il Museo d’arte moderna della città di Parigi e il 104, nuovo polo d’arte contemporanea. Più di 250 opere dell’artista newyorkese descrivono il suo pensiero politico e le sue battaglie relative alla droga, alla religione, al razzismo, alla minaccia nucleare e all’Aids (che lo uccise).

La mostra è divisa fisicamente e idealmente in due diverse parti. La prima si svolge al Museo d’arte moderna, dove si trovano gli enormi quadri animati da personaggi d’ogni sorta, bidimensionali, colorati, in movimento, quasi animati dallo spirito stesso del loro creatore che sembra vivere ancora in essi. Luci al neon e musica hip-hop calano l’esposizione in un’atmosfera surreale che ci riporta negli anni ‘80 e ai suoi idoli: Madonna, una delle più care amiche dell’artista, è protagonista di alcune opere.

Al 104 vi sono invece le sculture monumentali e i pannelli che illustrano i dieci comandamenti. Il messaggio dell’artista, veicolato dalle sue immagini quasi “pubblicitarie”, i suoi “subway drawings” realizzati nei metro, ma anche i suoi quadri e le sue sculture cercano di diffondere un nuovo evangelion, un messaggio di giustizia sociale e di libertà.

Icona indiscussa della pop-art, Haring era un artista sovversivo e militante. Concludiamo con le sue stesse parole un articolo che non è altro che un invito a riscoprire questo straordinario artista considerato quasi come un messia per il mondo dell’arte contemporanea:

…[It surprised me] that the work, as early as 1982, which was before I had any exhibitions…had already spread throughout the world. People saw it as something that wasn’t really by one artist but was a vocabulary open to anyone. T-shirts appeared in Japan and sneakers in Brazil and dresses in Australia , way before I ever made any commercial object like that…” (Rubell, p. 56).

(Trad: “Mi sorprese che il lavoro, sin dal 1982, prima che io avessi delle esposizioni, era già diffuso in tutto il mondo. La gente lo vide come qualcosa che non proveniva davvero da un’artista, ma era un vocabolario aperto a chiunque. Magliette comparirono in Giappone, sneakers in Brasile e vestiti in Australia, prima che io realizzassi qualche prodotto commerciale di tal genere”)

http://www.haring.com/!/

http://www.mam.paris.fr/fr/expositions/keith-haring

Angelo De Grande -ilmegafono.org

Untitled

 K. Haring, Senza titolo, 1983 (The Keith Haring Foundation • 676 Broadway • New York, New York 10012 • ©1997–2013).