Dopo la notizia del nuovo assalto politico di Berlusconi, più che di “Ritorno al futuro”, come hanno titolato alcuni organi di informazione, si dovrebbe parlare di “Ritorno del Monnezza”. Mi raccomando, non la si prenda come un’offesa, ma solo come una citazione cinematografica un po’ più corretta e adeguata, se si pensa al grado di veleno e di tossicità che la sola ipotesi di un’altra candidatura del Caimano ha sparso nei polmoni di un Paese ridotto allo stremo. Un Paese distrutto da 17 anni di cattiva politica e da una crisi i cui effetti non sono stati arginati dal governo tecnico del dimissionario Monti, che anzi ne ha aggravato la portata sociale, aggiungendo quello strato di delusione e di rabbia che si appiccica a chi viene chiamato nuovamente a fare sacrifici per salvare chi non solo non ne ha fatti mai, ma è anche la causa principale dello sfacelo e della disperazione che ci circonda. In tutto questo, fino a una settimana fa, rimaneva una sola nota lieta: la non candidatura di Berlusconi alle prossime elezioni politiche.

Adesso è caduta anche questa speranza, questa nota di ristoro psicologico e politico. La decisione dell’ex premier ha di colpo riacceso l’angoscia, la paura di tornare indietro, anche se i sondaggi lo danno ai minimi storici, anche se la consapevolezza della gente sembra essere cresciuta. È bastato l’annuncio per scatenare l’inferno. La stampa estera questa volta non ha usato mezzi termini né linguaggi politicamente corretti nell’attaccarlo, nel definirlo minaccia per la democrazia e la tenuta dell’Italia, mentre molti capi di governo e i vertici del Ppe si mostrano preoccupati e infastiditi dal rischio di un nuovo capitolo fatto di populismo, danni, cattive figure, volgarità, inerzia politica ed economica, leggi ad personam, inaffidabilità, mancanza di prestigio e di credibilità internazionale. Insomma, sarebbe il baratro.

Ed è quello che in Italia pensano coloro che hanno vissuto tutta la parabola berlusconiana e l’hanno combattuta sin dall’inizio. Il ricordo è funesto, traumatico, irritante. Che poi forse, in verità, Berlusconi non è mai veramente andato via. Persino da reietto, infatti, ha continuato ad influenzare la politica italiana, facendo il regista occulto in parlamento, assistendo da dietro le quinte alle strategie pesanti e agli atti di macelleria sociale del governo Monti, che in una prima fase era stato perfino accettato da una parte degli italiani con minore fastidio e maggiore fiducia proprio perché ne avevano inconsciamente messo a confronto la sobrietà dei modi e dei toni con la trimalcionica e ridanciana volgarità del predecessore e della sua accolita di valvassori, ballerine, lacchè, pregiudicati, amici degli amici, signorotti dalle maschere mostruose e dalle bocche truci.

No, non si può immaginare un ritorno, né si può parlare di ritorno al futuro, perché Berlusconi è l’antitesi del futuro. È un cavaliere oscuro che tiene in mano la falce della fine, dell’agonia democratica e sociale di un Paese che ha bisogno di luce e di aria, di tornare a vivere, ma prima di tutto di sperare nel domani, perché è quella speranza che ci è stata tolta, è stata strappata, percossa, umiliata e ferita da anni di arrogante dittatura di una maggioranza parlamentare partorita da una legge vergogna, la stessa con cui a febbraio andremo a votare, costretti a scegliere il male minore, ancora una volta. Abbiamo girato la boa o pensavamo di averlo fatto, fino a quando ci siamo accorti che all’orizzonte abbiamo sempre navi quasi identiche. Da un lato Berlusconi e dall’altro Bersani.

In mezzo Grillo, allergico alla democrazia e alle istituzioni, pericoloso ma sicuramente meritevole di aver scompaginato una scena che sapeva di stagno, di morfina e di compromesso. E poi l’ignoto, dal quale potrebbe venir fuori un ibrido, una forza che assembla poteri imprenditoriali forti, banchieri e vecchie volpi della politica come Casini, che hanno ancora indosso la puzza di sistema, di convenienza e di corrispondenti trame. Tutto cambia per non cambiare niente. Almeno al vertice, perché in basso quello che si percepisce è che qualcosa si sia modificato nel rapporto tra cittadini e politica.

Ci sono territori in lotta, stanchezza, delusione, rabbia, ci sono necessità ed esigenze di sopravvivenza, di futuro ma soprattutto di presente. Perché gli occhi piangono e le braccia cascano, l’umore cigola e non c’è alcunché a oliarne gli ingranaggi per fermare la rassegnazione, la depressione, la sensazione di fine che vomita drammi. Tocca davvero a tutti noi adesso, come popolo che non siamo e non siamo mai stati. Si sorride a stento, amaramente, e molto più ci si incazza quando si ascoltano coloro che rinnegano il loro passato consenso, consapevole e convinto, a Berlusconi. Per carità, non che non sia legittimo cambiare opinione, ma certe illuminazioni, certe presunte prese di coscienza non cancellano la complicità con un’area politica che apertamente, in maniera comprensibile anche a un bambino di 5 anni, ha devastato i principi fondanti della Repubblica italiana, i diritti, la società, la cultura, i servizi sociali, l’istruzione.

Passiamo oltre ma, questa volta davvero, impediamo gli alibi sul nascere. Chi voterà per Berlusconi e per questo centrodestra si assumerà una responsabilità dalla quale non potrà mai liberarsi o sottrarsi. Mai più. Se si dovesse riconsegnare il Paese a lui e al suo circo di sudicie marionette capaci di drogare il dibattito con i soliti temi che nulla hanno a che vedere con le urgenze di una nazione in declino, qualcuno un giorno ne pagherà le conseguenze. Da parte nostra, di chi non vuole che ciò avvenga, c’è solo un modo, un’unica soluzione, che piaccia o no: votare. Non astenersi, anche se l’odore sulla scheda non è quello che vorremmo. Arriverà il giorno in cui potremo togliere le mani dalle narici. Per adesso proviamo a togliere di mezzo chi continua ad avvelenare l’aria.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org