La “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne” nasce da una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (la 54/134 del 17 dicembre 1999), con il quale è stato indicato il 25 novembre come giorno simbolo da dedicare alla riflessione e alla sensibilizzazione sul tema della violenza sulle donne. In quella data, governi, Ong, associazioni sono chiamati ad organizzare eventi, incontri, iniziative e tutto ciò che possa essere utile a creare attenzione su un argomento che la politica dimentica, snobba e non pone mai al centro della sua agenda. Come mai l’Onu ha scelto proprio il 25 novembre? Lo ha fatto per riconoscere e ufficializzare un momento importante nella storia del movimento femminista mondiale e, in particolare, di quello latinoamericano, che, nel 1981, decise di riunirsi in Colombia proprio il 25 novembre, per ricordare l’assassinio, avvenuto nello stesso giorno del 1960, delle tre sorelle Mirabal.

Le Mirabal erano tre rivoluzionarie dominicane che si opposero al regime di Rafael Leónidas Trujillo, dittatore al comando della Repubblica Dominicana per oltre 30 anni, fino alla sua uccisione avvenuta nel 1961. Il 25 novembre, dunque, in memoria di tutte le donne che hanno lottato e lottano contro la violenza, ma anche di chi soccombe, di chi non riesce a liberarsi dall’oppressione, fisica e culturale, materiale e psicologica. In Italia, nazione dentro i cui confini viene uccisa una donna ogni 3 giorni (102 le vittime dall’inizio del 2012), la Giornata internazionale viene celebrata dal 2005: inizialmente con sporadiche iniziative e con un’unica manifestazione di piazza, svoltasi a Roma nel 2007.

Negli ultimi anni, però, si sono moltiplicati gli eventi e gli incontri organizzati in occasione di questo giorno di riflessione e denuncia. In questi giorni, da Milano a Roma, da Torino a Palermo, Bologna, Genova, sono tanti gli eventi previsti per ricordare le tante donne uccise e quelle che vivono nel terrore e nel dolore, dentro le mura domestiche, dentro le famiglie-prigioni, per strada, nelle case e nelle auto dello sfruttamento. E tra le donne da ricordare, in questa occasione, partendo dall’esempio delle sorelle Mirabal, ci sono anche quelle che si sono opposte al potere oppressivo del crimine organizzato, con coraggio e voglia di riscatto.

A Milano, qualche giorno fa, sono stati trovati i resti di una donna, che è stata uccisa, bruciata e sepolta. Potrebbe trattarsi di Lea Garofalo, testimone di giustizia, assassinata nel 2009, il cui corpo si pensava fosse stato sciolto nell’acido in un capannone nei pressi di Monza. Forse, adesso, quella donna che aveva sfidato la sua famiglia e il marito boss di ‘ndrangheta che poi l’ha rapita ed eliminata, potrà ricevere una sepoltura degna ed avere dei funerali. Oltre a Lea, ci sono altre vittime da ricordare, altre donne coraggiose che hanno sfidato la mafia che, spesso, era parte della loro vita, sigillo criminoso della loro famiglia. Come Maria Concetta Cacciola, altra testimone di giustizia, la quale, dopo esser stata costretta a ritrattare pur di poter tornare dai suoi figli, si è suicidata al termine di una vita di violenze, sopraffazioni e umiliazioni.

Donne giovani, a volte giovanissime come Rita Atria, testimone di giustizia, anch’ella suicida dopo l’assassinio, in via D’Amelio, del giudice Paolo Borsellino, che era divenuto il suo unico punto di riferimento, una presenza paterna, irrinunciabile. E poi donne che la mafia l’hanno incontrata per caso o per lavoro, come Graziella Campagna, uccisa per aver scoperto la vera identità di un boss mafioso latitante, Emanuela Loi, la prima ed unica donna delle scorte ad essere uccisa (il 19 luglio 1992, in via D’Amelio), Renata Fonte, assassinata per la sua battaglia a difesa dell’ambiente contro la speculazione mafiosa. E tutte le madri coraggio che hanno reclamato verità e giustizia, come Ninetta Burgio, Saveria Antiochia, Felicita Impastato, Francesca Serio.

Accanto ad esse ci sono tutte le altre donne che hanno combattuto e, per fortuna, sono ancora tra noi, per lottare e testimoniare, come Piera Aiello (cognata di Rita Atria) o Giuseppina Pesce, collaboratrice di giustizia, e le donne magistrato, le poliziotte, le giornaliste, le sindacaliste, le insegnanti, le deputate europee come Sonia Alfano e Rita Borsellino, le figlie, madri, sorelle, mogli delle vittime innocenti di mafia e camorra, tutte quelle che alzano e hanno alzato la testa rifiutando ogni forma di violenza, persino quella apparentemente invincibile come quella mafiosa.

Nel giorno in cui si ricorda l’assassinio di tre sorelle rivoluzionarie, oppositrici di un regime arretrato e violento, la speranza è che questo Paese non dimentichi, ogni giorno, non solo il 25 novembre, le tante rivoluzionarie italiane che hanno contribuito e contribuiscono a frantumare pezzi di quell’immensa e appiccicosa coltre di violenza e orrore che inquina i polmoni del nostro vivere.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org