Dopo una campagna elettorale carica di veleni, accuse, polemiche, record sportivi, show ed errori imbarazzanti, finalmente il sacro silenzio che precede il voto. La Sicilia sceglie il suo nuovo governo e lo fa in un momento cruciale per l’Italia. Nel nostro Paese è accaduto molto spesso che gli equilibri politici emersi dalle elezioni nell’isola abbiano preceduto e condizionato il successivo assetto politico nazionale. Per come appare oggi la situazione in Sicilia, però, speriamo davvero che non sia così. Chi vincerà? Sicuramente non il cambiamento, non la novità. La parola rivoluzione viene sempre abusata quando ci si prepara ad un momento decisivo nella terra del Gattopardo, ma muore facilmente, prematura, sotto la melma di un sistema politico che non intende o non riesce a rinnovarsi. La domenica che ci apprestiamo a vivere sarà quella dei tanti gattopardi di ogni specie e di ogni colore. La sinistra ha già abdicato, presentandosi (anche questa una novità…) divisa, per non dire fratturata e attraversata da rancori, scontri, veleni. Impossibile parlarsi, capirsi, venirsi incontro. Il responsabile principale, mi spiace dirlo, è Rosario Crocetta, il quale ha commesso un errore gravissimo che, in caso di sconfitta, avrà probabilmente ampie ripercussioni sulla sua carriera politica.

Sull’uomo e sulla sua storia, come ho avuto modo di scrivere più volte, nulla da dire, perché le conseguenze positive delle sue azioni da sindaco di Gela e da deputato europeo sono ancora tangibili e misurabili. Politicamente, però, la scelta di andare a braccetto non tanto con il Pd quanto con l’Udc di D’Alia, Casini e Cesa è davvero un colpo al cuore e alle gambe di chi da anni combatte contro il sistema perverso che ha tenuto le mani ben strette sul collo del futuro della Sicilia e dei siciliani. Non ditelo ai sostenitori e allo staff di Crocetta, perché vi risponderanno (posso testimoniarlo) con arroganza, spiegandovi che chi sta dalla loro parte crede nell’etica (chi dissente quindi è automaticamente non etico) e che l’Udc ha siglato un impegno per cancellare dalle liste elettorali tutti coloro che sono stati condannati per mafia. “Che eroi!”, ti verrebbe da dire. Peccato che nel recente passato questi “innovatori” non hanno mai alzato una mano per contrastare certe logiche e certi compari di partito. Pensavo che comunque, al di là dei proclami e dei protocolli di impegno, vi fosse anche un’idea di sinistra e di politica.

Credevo che non si potesse stringere un’alleanza con chi per anni, a livello regionale, ha sostenuto l’amico degli amici Totò Cuffaro e il suo degno successore Saverio Romano. Ti rispondono che D’Alia è stato un oppositore interno del cuffarismo. Va bene, crediamoci, ma come dimenticare che l’attuale nomenclatura dell’Udc è la stessa che ha partecipato, complice attiva, al governo Berlusconi e allo sfascio delle istituzioni repubblicane? E come dimenticare che D’Alia è stato l’ideatore e promotore di una legge censoria e autoritaria contro i blog e contro i siti di libera informazione? E ancora: vogliamo far finta di non sapere che tra i candidati dell’area che sostiene Crocetta c’è anche l’ex sindaco Pdl di Ragusa, Nello Dipasquale? Non è solo un fatto di legalità o di candidature pulite, è anche un fatto di coerenza politica, di visione del mondo, di passione per il cambiamento. Le rivoluzioni, caro Crocetta, non si fanno con i compromessi e, in ogni caso, ci sono confini che non si possono e non si devono superare. Nemmeno se si è uomini di valore o di provata onestà.

Dall’altra parte, invece, c’è un duo, un ticket frutto di un imbarazzante errore. Giovanna Marano, persona assolutamente stimabile, e Claudio Fava, una sorta di presidente ombra. Una situazione al limite del farsesco. Un’area politica che ha mantenuto la propria coerenza e che gode dell’appoggio di persone quali Rita Borsellino e Nando Dalla Chiesa, rappresentando anche il punto di riferimento elettorale di molti movimenti che nei territori si sono fatti valere. Peccato, però, che abbiano trascorso metà campagna elettorale a fare le pulci non alla destra, a Musumeci (appoggiato dal Pdl) o a Miccichè (basta il cognome per capirci), ma a Crocetta, lasciandosi andare anche ad inaccettabili e deliranti derive sulla moralità e sulla consistenza antimafiosa dell’ex sindaco di Gela. Troppo spesso, nei suoi confronti, durante queste settimane di campagna elettorale, abbiamo sentito il rumore insopportabile degli schizzi di fango, con eccessi indecenti e per di più inutili. A risentirne è stata la chiarezza sui programmi, sull’idea di Sicilia, sui temi concreti.

Se parli con i sostenitori del duo Marano-Fava, ti rimandano a un sito internet e a un programma che, oltre a pochi punti che riferiscono qualche generale linea di principio, presenta vuoti da riempire insieme ai cittadini. Debolezza, a cui si è aggiunto il cambio di leadership in corsa, per via di una distrazione quantomeno dilettantesca. In poche parole, tenendo conto dell’incognita Grillo, che ad una prima stima non appare però in grado di conquistare la vittoria, e delle scarse possibilità della Marano (ottima la candidata ma i numeri per vincere non ci sono), la Sicilia è pronta a cambiare per non cambiare. Miccichè e Musumeci sarebbero un segnale di continuità con un passato di distruzione scientifica della società e delle istituzioni siciliane, mentre Crocetta sarebbe una novità falsata, con un condottiero pulito ma circondato da uomini e partiti che compongono una retrovia incrostata di clientele, responsabilità e idee politiche avverse al progressismo e al cambiamento.

Sarebbe una rivoluzione senza rivoluzionari, una conquista di poltrone sopra a cui continuerebbero a sedere le solite facce, vetuste testimonianze di un passato ingombrante e impietose annunciatrici di un presente e di un futuro di controllata immobilità. Crocetta se ne renderà conto e forse sentirà il peso della sua scelta sbagliata. Responsabilità, la chiamerei, da condividere con il resto di quella sinistra che avrebbe dovuto parlarsi, avrebbe dovuto superare la diatriba legata alla questione dell’appoggio esterno a Lombardo (il peccato più grave del Pd siciliano) e confrontarsi, scegliendo di andare insieme, senza l’Udc, depurando le liste dal marciume che non manca mai, costringendo le cariatidi che affollano il Pd a farsi da parte, a lasciare spazio ad altri.

Soprattutto si sarebbe dovuto aprire un dialogo, con largo anticipo, sui possibili candidati (e qui la colpa maggiore ce l’ha il Pd, a lungo adagiato sull’esperienza di governo con Lombardo), senza arrivare alla fase insopportabile “degli uomini della Provvidenza”, quella in cui due personalità celebri e dotate di mezzi decidono di imporsi come i candidati alla presidenza, senza una discussione, senza un ragionamento, una valutazione. Ecco perché, dopo il voto, soprattutto in caso di vittoria della destra siciliana, una delle peggiori del Paese (compreso l’Udc, che, al di là dei trasformismi, rimane un partito di centrodestra), chi ha sbagliato dovrà pagare e dovrà assumersi la responsabilità enorme di aver sprecato una delle più importanti occasioni di cambiamento per questa terra dilaniata dalla eterna persistenza degli eredi del Gattopardo. Che per giunta sono spesso più rozzi e meno colti.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org