È bufera sulla sponda calabrese dello Stretto di Messina. Il Comune di Reggio Calabria, infatti, è stato sciolto per “contiguità mafiosa” e adesso il futuro del capoluogo calabro è tutto nelle mani dello Stato. Ad agire ed effettuare una scelta così drastica è stato lo stesso ministro dell’Interno, Cancellieri, la quale ha deciso lo scioglimento dopo aver valutato attentamente i risultati del lavoro di una commissione che si era insediata nel comune lo scorso gennaio. Secondo la Cancellieri, tutto ciò è un “atto preventivo e non sanzionatorio”, il che prevede la formazione di una nuova commissione che gestirà il comune per un tempo massimo di 18 mesi. Ma da cosa è scaturita questa scelta? Innanzitutto, come già accennato, dai risultati esposti dalla commissione d’accesso, ad essere a rischio infiltrazioni sono tutti i settori. Non se ne salva nemmeno uno: dagli appalti ai trasporti pubblici, ma anche la gestione dei rifiuti e così via. Insomma, sembrerebbe (e con ogni probabilità lo è) una città afflitta dalla presenza pesante della ’ndrangheta e lo scioglimento, forse, potrebbe rivelarsi l’arma migliore per cominciare a creare qualche crepa all’interno di un sistema di potere territoriale immenso. Poi ci sono delle inchieste che significherebbero molto nella scelta eseguita dal Cdm.

Alcune sono quelle che riguardano delle società, tra cui la Leonia Spa, azienda municipalizzata al 51% che tratta la gestione dei rifiuti. Questa, secondo il gip di Reggio Calabria, sarebbe stata gestita totalmente dalla ’ndrina dei Fontana. Inoltre, proprio in questi giorni, sono stati tratti in arresto il direttore operativo della società Bruno De Caria (reo di aver favorito l’infiltrazione della cosca nella società) e alcuni esponenti del clan. Un’altra società, invece, la Multiservizi (anch’essa mista, cioè con la compartecipazione del Comune), sarebbe stata gestita da un’altra cosca, quella dei Tegano, anche se l’ex sindaco del capoluogo, Demetrio Arena, è riuscito a scioglierla in tempo. Infine, ci sono altre inchieste che riguardano elementi importanti della giunta e del consiglio comunale. Tra tutti, gli inquirenti puntano l’attenzione su Pasquale Morisani (assessore), Giuseppe Plutino (consigliere comunale) e il presidente del consiglio, Sebi Vecchio. Le accuse sono delle più varie: per il primo, ci sono delle intercettazioni che svelano una “inconsueta” familiarità con il boss Santo Crucitti, in quanto i due sarebbero stati scoperti a colloquio all’interno dell’azienda del boss proprio poco prima delle elezioni.

Per Plutino, invece, l’accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa, poiché avrebbe stretto un forte sodalizio con la cosca dei Caridi e permesso alla stessa cosca di inquinare le elezioni. Per lui lo scorso dicembre sono scattate le manette. Infine, l’accusa che pende sul presidente del consiglio è quella di aver partecipato ai funerali di Domenico Serraino, boss dell’omonimo clan, nonostante il divieto di funerali pubblici sancito all’epoca del decesso. È più o meno questo, quindi, lo scenario che si è presentato davanti agli occhi della Commissione d’accesso prima e del Cdm (e della Cancellieri) successivamente. È un quadro che fa rabbrividire, non solo perché si tratta del primo capoluogo in Italia ad essere stato sciolto per mafia, ma perché proprio ciò dimostra quanto la’ndrangheta sia ormai radicata all’interno delle giunte comunali al punto da gestire e controllare indisturbata intere stanze istituzionali.

Insomma, ci sono politici eletti che non sono altro che pupazzi, marionette mosse dalle cosche che si spartiscono ogni cosa e che non lasciano spazio nemmeno ad un “respiro” di legalità. D’altronde è ovvio: come ci si potrebbe aspettare che in una città del genere trovi spazio la speranza del giusto, dell’onesto e del legale? La situazione di Reggio Calabria deve far riflettere, perché è la dimostrazione di quanto sia inefficiente la politica, di quanto questa stessa sia spesso solo una “maschera” dietro i loschi affari della criminalità organizzata. E Reggio non è la sola, purtroppo: ci sono tante città, da Nord a Sud, che rischiano (e che forse meriterebbero) lo scioglimento del comune o di altri enti istituzionali, perché la mafia non da scampo a nessuno, men che mai ai centri più importanti. Ecco perché lo stato di allerta non va abbassato, né ora né mai.

Giovambattista Dato -ilmegafono.org