Cambiano gli attori principali (o comunque si ritoccano un po’) ma non cambia minimamente il copione. La politica italiana al tempo della crisi economica ha le sembianze di un palcoscenico diroccato dentro un teatro fatiscente, dove la muffa incrosta le pareti e dove l’acqua, che impietosa entra dagli squarci del soffitto, assume il colore e la forma di uno stagno. L’olezzo nauseabondo che circonda la triste scenografia abbandonata da decenni ha quasi smesso di irritare le narici di un popolo che in buona parte sembra assuefatto e ignora, snobba, perché c’è da affrontare la realtà quotidiana, vera, concreta, durissima. Una realtà di diritti che, in parte, non ci sono più o di diritti che dovrebbero esserci e non ci sono mai stati. Tra questi vi è l’umana prerogativa di vivere il proprio rapporto affettivo con un’altra persona senza subire discriminazioni di legge. Un’altra persona per cui, in un paese moderno, non sarebbe indispensabile specificare il sesso o la condizione: in Italia lo è.

Mentre in Europa due esseri umani che si amano vengono riconosciuti in base al proprio progetto di vita comune, a cui lo Stato deve corrispondere tutta una serie di strumenti e di diritti legittimanti, in Italia la questione delle nozze tra persone di ugual sesso è un tabù, un tema attorno a cui si costruiscono strategie di convenienza elettorale, squallide quasi quanto il conformismo becero del gruppo dirigente del Pd, che ha escluso qualsiasi ragionamento sul documento presentato da Paola Concia e Ivan Scalfarotto sui matrimoni tra omosessuali, non inserendo la questione nell’ordine del giorno dell’assemblea nazionale del partito. Una scelta che fa il paio con le dichiarazioni urticanti e omofobe dell’ex ministro Fioroni, un integralista del No alle nozze gay. In questo quadro desolante, che sa di vecchi schemi e vizi ancor più vecchi di un partito che di sinistra ha solo la previsione sul proprio futuro, ecco che si infila e si incastra perfettamente ancora una volta lo sproloquio di un finto innovatore che puzza di naftalina: Beppe Grillo.

Lui, l’uomo che in un comizio a Bologna diede prova della sua omofobia, attaccando Vendola con un elegante epiteto (“busone”), il grillo sparlante che ha vomitato all’Italia intera il suo terrore per tutto ciò che appare diverso. Una copia sbiadita e ugualmente pericolosa di quel Cavaliere che tanto attaccava e di cui ora ripropone linguaggio, stile, strategia. Il suo spessore da bar dello Sport si misura con l’intensità maschilista delle accuse mosse a Rosy Bindi, presidente del Pd, colpevole del non inserimento del documento Scalfarotto-Concia nell’ordine del giorno dell’assemblea. Accuse che non si fondano su argomentazioni precise, parole che non entrano nel merito, non parlano di una mentalità vecchia e di un diritto che in altri paesi europei è riconosciuto persino dai partiti conservatori. Niente di tutto ciò. La Bindi è una donna, una signora che non ha la perfezione estetica di una pin-up: “Chi se ne frega?”, direbbero in qualsiasi altro Paese.

Qui no, perché in Italia la donna deve rispondere solo a canoni estetici e se non li possiede va attaccata, derisa. Poco importa se tra i maschi della politica ci sono facce esteticamente peggiori, ottime per saghe horror o per un Muppet Show: in questo mondo di maschilisti squallidi alla donna non è consentito essere normale, non è consentito avere la dote dell’intelligenza e del carisma, indipendentemente dalla bellezza e dal fatto che se ne condividano o meno le idee. In pieno stile Berlusconi, il suo replicante mascherato da innovatore libero si lascia andare all’affondo sulla presunta “scarsa convivenza” della Bindi con il vero amore, come se l’amore fosse una questione estetica o sessuale, come fosse un lusso riservato a chi maneggia l’arte del make-up.

Prima che inizi il tam-tam penoso di chi parlerà di cattive interpretazioni, di frasi decontestualizzate, di complotti della stampa asservita, verrebbe da chiedere a Grillo quale sia la sua dimestichezza con l’amore, dato che a prima vista sembra un uomo arido ed eccessivamente arrabbiato, lontano mille miglia dall’idea di amore (le posizioni sugli immigrati ne sono una prova). E soprattutto mi piacerebbe sapere da lui cosa pensa di rappresentare per l’Italia. Un’alternativa o una riproposizione di modelli più ancestrali e rozzi di quelli che finge di combattere? Da quello che sentiamo e vediamo ogni giorno, sembra che ci siano ben poche differenze tra il comico genovese e l’ex premier. Populismo, machismo, razzismo. Questo è il “nuovo che avanza”?

L’Italia è una nazione strana in cui cambiano le facce degli attori ma poi ti rendi conto che, in realtà, sono sempre gli stessi, solo con abiti nuovi e trucchi diversi. Siamo un paese in cui cittadini che si sono definiti per anni anti-berlusconiani e anti-casta osannano uno come Grillo, che ne costituisce solo una fotocopia più furba e scaltra. Intanto i temi su cui si dibatte vengono fagocitati dal protagonismo dei tribuni e delle fazioni. Così, a chi guarda realmente avanti risulta tristemente facile comprendere perché restiamo sempre indietro.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org