L’Ottocento è stato il secolo in cui il pianoforte ha subito quei cambiamenti che ancora oggi lo rendono lo strumento per eccellenza. Cambiamenti nella meccanica e una conseguente evoluzione dello strumento hanno consentito a grandi compositori di esplorare nuovi orizzonti musicali, seguendo quell’ideologia del tempo che vedeva nel pianoforte un degno riassunto dell’orchestra. Uno dei tanti celebri pianisti di quel periodo storico fu Sigismund Thalberg, del quale quest’anno si celebra il duecentesimo anniversario della nascita. Thalberg nacque, appunto, nel 1812, e fin da piccolo fu indirizzato verso lo studio della musica, in particolare del pianoforte. Ebbe come maestri personalità influenti, come Moscheles e Hummel, che gli garantirono non solo delle nozioni musicali validissime, ma anche fama e notorietà.

Nei suoi primi trent’anni di vita aveva già calcato i palcoscenici dei teatri di tutta Europa, riscuotendo molto successo in centri musicali quali Parigi e Londra. Lì mostrò tutta la sua innovazione tecnico-compositiva del pianoforte, mettendo in evidenza acrobazie alla tastiera che nessuno prima aveva nemmeno potuto concepire e che, in quel periodo, pochi potevano consentirsi il lusso di riproporre. Oltre che sotto l’aspetto musicale, Thalberg fu un innovatore del ruolo del musicista. Fu, insieme ad altri noti pianisti del tempo, una delle prime star musicali internazionali: oltre che in Europa, si esibì in Stati Uniti e Brasile, dando così un’impronta a quello che oggi chiameremmo “tour musicale”.

E nel suo giro del mondo non poteva mancare la tappa nell’allora rinomata Italia, della quale si innamorò sia musicalmente, come certificano le numerose trascrizioni delle opere di Rossini, sia a livello di territorio. Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Napoli, dove morì nel 1871. Al fianco di altri grandi pianisti a lui contemporanei, come Frederic Chopin e Franz Liszt, Thalberg ha lasciato il suo grande contributo nell’evoluzione delle possibilità del pianoforte, possibilità portate fino all’estremo, dove follie tecniche si amalgamano a soavi melodie, e che tutt’oggi rappresentano dei duri ostacoli da superare per chi si cimenta nello studio del repertorio pianistico.

Manuele Foti –ilmegafono.org