Non è sempre facile scrivere, soprattutto quando c’è qualcosa che ti tocca particolarmente e ti procura un groviglio di rabbia tale che dando un pugno sul muro potresti tracciarvi un solco, o che sfogando tutto su un foglio potresti strapparlo con la punta della penna che vi scorre sopra. Per questo chiedo scusa se sarò diretto e non userò terze persone o convenzioni varie, ma queste righe sono per un amico, per una persona che, dopo anni di sacrifici, lotte, di informazione e denuncia, di sfida aperta al sistema mafioso e alle complicità politiche che inquinano la sua città e il territorio circostante, adesso rischia di essere fermato, zittito, indebolito, isolato non da quei poteri sporchi che lo minacciano, ma dallo Stato, dalla legge, dalla burocrazia stolta che non ha logiche diverse da quelle del mercato, che non conosce sfumature né eccezioni. Così, un’oasi di libera informazione, che resiste in mezzo alla sabbia arida dei lacchè di potere, rischia di sparire per sempre.

Telejato, la tv dei record, quella che ogni giorno spinge 250mila persone, dai propri schermi o attraverso il web, a guardare il telegiornale più lungo al mondo, dove si fanno nomi e cognomi, dove si svelano, a viso aperto e con voce ferma, le ferite che quotidianamente Partinico, la valle dello Jato e la Sicilia subiscono, e dove si dà spazio alla gente, raccogliendone le rivendicazioni. Il telegiornale in cui si parla con i fatti e con le carte in mano, e in cui le interviste a politici e rappresentanti delle istituzioni non hanno domande preconfezionate, edulcorate, ammorbidite, ma al contrario dure, nette, necessariamente “fastidiose” per chi è abituato ad interloquire con giornalisti al guinzaglio, con i cagnolini dell’informazione, che scorrazzano festosi e numerosi in questo Paese fatto di servilismo ed interessi personali.

Non c’è riuscita la mafia a fermare questo prezioso respiro di legalità, ci sta per riuscire lo Stato, lo stesso che in quei territori ha lasciato cadere uomini che non hanno mai rinunciato a tenere la schiena dritta, senza curarsi delle minacce o dell’isolamento a cui andavano incontro. A Partinico c’è uno di quegli uomini che non arretra di un millimetro e che, per fortuna, è ancora in piedi, con il suo coraggio che non ostenta mai; perché non è coraggio ma è l’unico modo di vivere di un uomo libero che non potrebbe mai amare né i padroni né la schiavitù. Si chiama Pino Maniaci e fa il giornalista. Di quelli con la G maiuscola. Un Giornalista-Giornalista, per dirla alla maniera di “Fortàpasc”. Un carattere forte, il piglio duro di chi non fa sconti a nessuno, perché non ha appartenenze o riferimenti politici. Implacabile nel suo mestiere, un’irrefrenabile carica di verità e arguzia, che si incrociano con l’ironia tipicamente siciliana di chi è abituato a sdrammatizzare su tutto per rendere più leggeri gli ostacoli che la vita ti presenta.

Un animo generoso e gentile, un uomo capace di un’amicizia e di un affetto rari al giorno d’oggi, soprattutto in questo ambito professionale. Un amico pronto sempre a darti una mano, disponibile a sostenerti e ad offrire, a me che l’ho voluto anche nel mio ultimo libro, una testimonianza dolorosa della sua vita che nessuno conosce. E lo ha fatto con generosità e senza risparmiarsi, proprio in questi ultimi mesi nei quali, nel frattempo, ha dovuto fronteggiare mille difficoltà. Oltre ad essere un amico, Pino è soprattutto un esempio, un riferimento, un siciliano onesto che non si arrende, né davanti alle minacce (l’ultima ignobile lettera l’ha ricevuta pochi giorni fa) né alle querele avanzate vanamente da chi è finito sotto la lente d’ingrandimento delle inchieste di Telejato.

Non posso pensare che la sua creatura, per la quale lui e la sua famiglia hanno speso tutti i propri sforzi, le proprie energie, debba chiudere per via di una normativa che, pur venendo meno il principio più vergognoso del Beauty Contest (ossia l’assegnazione gratuita delle frequenze del digitale terrestre), prevede un’asta onerosa per questa emittente a fronte di un numero sempre più ridotto di frequenze. Soprattutto per quelle realtà che informano non per profitto, quelle Onlus che non hanno bilanci milionari. Non solo Telejato, ma ben 200 tv comunitarie spariranno. Non posso immaginare Pino da solo, senza la sua tv e il suo telegiornale: non riesco a pensarlo per la città di Partinico e per tutto il territorio circostante, che perderebbe un’avanguardia di legalità e di verità, e non riesco a pensarlo per lui, per la sua incolumità, che verrebbe messa a serio rischio con la chiusura delle trasmissioni. La mafia non dimentica, sa che per colpire c’è bisogno di silenzio, perché la visibilità del bersaglio fa clamore e induce ad una reazione, ad un effetto opposto.

Pino adesso non è solo e mi auguro non lo rimanga nemmeno dopo, perché al di là delle parole e degli appelli, della solidarietà, poi c’è una vita concreta da vivere. Senza Telejato perde tutta l’Italia, perdiamo tutti noi. Perché un pezzo di informazione vera, libera, giusta, verrebbe a mancare. E al contempo si regalerebbe gioia e soddisfazione alla mafia, a chi vuole da sempre che quella piccola emittente taccia e chiuda le porte di quelle tre stanze poste al secondo piano di un vecchio palazzo al centro di Partinico. Molti mi scrivono mail per chiedermi cosa possiamo fare concretamente. La mia risposta è sempre la stessa: o raccogliere fondi (ma probabilmente non basterebbe) oppure fare pressioni sul governo, perché preveda una deroga alla normativa e conceda a Telejato di poter trasmettere sul digitale terrestre, per meriti e per impegno antimafia.

Quello che suggerisco di fare è di scrivere decine di mail al ministro Passera (clicca qui per l’indirizzo mail) chiedendo che Telejato venga salvata. Perché in questo caso la tv non è una questione di pubblicità, di introiti, di palinsesti o profitti; in questo caso è una questione di civiltà e di libertà. E il governo deve decidere da che parte stare: se dalla parte di chi combatte la mafia o dalla parte di chi la favorisce.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org