Sono quasi diecimila i morti dall’inizio della rivolta in Siria, dove dal marzo scorso è in atto una “guerra” tra le forze del regime di Bashar al Assad e i militanti dell’opposizione. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, oltre 9.700 persone sono state uccise da quando è iniziata la ribellione, nella stagione della primavera araba che aveva lambito prima la Tunisia e poi la Libia e lo Yemen. I dati sull’enorme carneficina in corso nel paese da più di un anno sono stati confermati anche dalle Nazioni Unite, il cui inviato per il Medio Oriente, Robert Serry, ha dichiarato davanti al Consiglio di sicurezza che “le violenze in Siria proseguono senza interruzione”.

Le foto e i video girati nello Stato africano negli ultimi mesi ci restituiscono l’immagine di un Paese dilaniato, impoverito e cannibalizzato dalla violenza. Il 12 marzo scorso, ad Homs, città centrale della Siria, sono stati rinvenuti i corpi senza vita di 47 persone, 26 bambini e 21 donne, un “massacro” attribuito dagli attivisti dell’opposizione alle forze del presidente Assad e dalla tv ufficiale siriana a “gruppi terroristici”. Molti cadaveri presentavano segni di torture e altri abusi, in fotografie davanti alle quali è difficile rimanere indifferenti.

I rifugiati siriani sono decine di migliaia. L’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) ha stimato in 84 milioni di dollari la somma necessaria per prestare assistenza agli sfollati, molti dei quali sono stati accolti nella vicina Turchia, in Libano, in Giordania e in Iraq. In Turchia ci sono grandi tendopoli destinate ad accogliere i siriani costretti a lasciare le proprie case, e i loro volti, da cui traspare una disperazione mista alla consapevolezza di essersi salvati dalla morte, non sono diversi da quelli di tutte le altre vittime delle guerre interne a molti Stati del mondo.

L’opposizione siriana, seppure divisa, chiede la transizione del Paese verso la democrazia e le dimissioni di Assad, la cui famiglia è al potere da decenni e non è nuova alla violenza. Nel febbraio del 1982, infatti, il padre dell’attuale presidente, Hafez al Hassad, si rese responsabile di una feroce azione repressiva passata alla storia come “massacro di Hama”. In una piccola città a nord di Damasco, Hama appunto, le forze armate sedarono con la forza un’insurrezione organizzata dai Fratelli musulmani, uccidendo tra le 10 e le 25mila persone. Quella di Hama però è una strage “dimenticata”, le ricostruzioni dei fatti sono controverse e ancora fino a pochi anni fa in Siria molti la consideravano “un’azione resasi necessaria per dissuadere un movimento islamico estremista”.

Oggi però il Paese deve fare i conti anche con il passato, se vuole voltare pagina. E l’uscita di scena di Assad, per l’opposizione, è ormai un “fatto” irrinunciabile. Fortunatamente, oggi, il contesto regionale è cambiato: i leader arabi, riuniti a Baghdad nei giorni scorsi, hanno chiesto “l’attuazione completa e immediata” di un piano di pace internazionale, elaborato dall’ex segretario dell’Onu Kofi Annan, per la transizione alla democrazia in Siria.  Se però il piano prevede il ritiro dell’esercito siriano dalle città e dai centri abitati, l’apertura di un corridoio umanitario e il rilascio degli oppositori detenuti, non parla tuttavia di “dimissioni”, né stabilisce un limite temporale per l’applicazione delle misure richieste. E nella stessa regione mediorientale ci sono ancora posizioni contrastanti che rischiano di prolungare il conflitto interno siriano.

Due importanti attori regionali, Turchia e Iran, divergono su un punto fondamentale: se infatti Ankara chiede, insieme ad altri leader arabi e occidentali, un cambio di regime, Teheran invece difende a spada tratta il presidente Assad.  Quest’ultimo, da parte sua, si è detto pronto ad accettare il piano di pace internazionale,  a patto però che i “ribelli” dell’opposizione siano fermati. Nel frattempo, in Siria si continua a morire. È di almeno quaranta morti il bilancio delle vittime nella giornata di ieri:  la rete televisiva satellitare “al Jazeera” parla di uccisioni per mano delle forze del regime a Deraa, Aleppo, Idlib, Homs, Hama e Damasco. Solo questa settimana, nel Paese di Assad hanno perso la vita 70 persone, in scontri, disordini o attentati.

G.L. -ilmegafono.org