Volti di donne che hanno saputo scegliere di affrancarsi da un destino che sembrava segnato. E lo hanno fatto anche a costo della loro vita, sacrificio immane sull’altare della dignità e della giustizia. L’8 marzo sta arrivando e dalla Calabria arriva un appello: non dimentichiamo tre volti, tre donne, tre storie che sono l’emblema di una regione che vuole reagire allo strapotere delle ‘ndrine che oggi costituiscono la mafia più potente al mondo, quella che ha messo le mani anche sulle regioni del Nord, a cominciare da Liguria e Lombardia. L’appello è stato lanciato da Matteo Cosenza, direttore del Quotidiano della Calabria, il quale da qualche settimana ha avviato la campagna “Tre foto e una mimosa”, che mira a creare tra i lettori un dibattito sulle madri, mogli, figlie, sorelle degli affiliati che hanno avuto il coraggio di ribellarsi e di staccarsi da un tipo di vita che non era la loro, non apparteneva più a loro. Maria Concetta Cacciola, Lea Garofalo e Giuseppina Pesce, tre donne, tre storie terribili, piene di tristezza e di dolore, ma anche di coraggio e di rabbia.

Maria Concetta, di cui abbiamo scritto qualche settimana fa, nipote di un boss e moglie di un affiliato, capace di raccontare tutto ciò che sapeva ai Carabinieri, ma costretta a ritrattare e tornare dalla famiglia, da quel padre, quella madre e quel fratello che usano i suoi tre figlioletti come arma di ricatto. Ha solo 31 anni Maria Concetta e il ritorno a casa si trasforma in un calvario di violenze, sopraffazioni, umiliazioni, fisiche e psicologiche. L’epilogo è terribile: si suicida (questo suppongono gli inquirenti) ingerendo acido. Anche Lea è cresciuta in mezzo alla ‘ndrangheta, dentro una famiglia regolata da codici e logiche lontane da idee e sentimenti quali la giustizia, l’onestà, il rispetto dell’altro. Anche l’uomo che le darà una figlia è un criminale e Lea conosce da vicino il rosso marcio delle faide, della violenza, della paura. A un certo punto dice basta: denuncia, collabora, diviene testimone di giustizia.

Combatte la sua battaglia per sé e per sua figlia, per scegliere una vita diversa, lontana dall’aria inquinata che era stata costretta a respirare. La ‘ndrangheta non dimentica e, dopo un tentativo andato a vuoto, riesce a rapirla ed ucciderla, sciogliendo poi il suo corpo in 50 litri di acido, in un terreno alle porte di Milano. Giuseppina Pesce, per fortuna, è riuscita a scampare alla vendetta dei familiari che accusa, lei che era integra a uno dei clan più potenti, i Pesce di Rosarno. Una collaboratrice di giustizia, una donna che decide di liberarsi del fardello di un’appartenenza ingombrante e di parlare, raccontare tutto. Tre storie, un comune denominatore: la ‘ndrangheta che entra inevitabilmente nella loro vita e dalla loro vita esce cacciata via dal loro coraggio.

Donne che non vanno dimenticate, perché sono il segno che, anche nascendo in famiglie avvinte dalle radici della malapianta, si possa sempre e comunque scegliere di tagliare quelle radici e provare a riconquistare la libertà, anche a prezzo (ingiusto e terribile) della propria vita. Il sacrificio di Lea e Maria Concetta e la tenacia di Giuseppina sono esempi che non vanno sprecati, in un mondo, quello delle ‘ndrine, in cui le donne hanno sempre giocato un ruolo di primo piano e in cui, oggi, il pentimento della Pesce crea subbuglio. Perché il pentitismo o la collaborazione con la giustizia sono fenomeni ancora rari nella ‘ndrangheta. E queste donne sono state e sono un’avanguardia, ma per far sì che il loro coraggio diventi esempio bisogna parlarne, bisogna ricordare di continuo e non dimenticare.

Ecco perché l’appello del Quotidiano di Calabria va sostenuto ed ecco perché le centinaia di adesioni di cittadini, associazioni, sindacati fanno ben sperare. Perché la società civile ha bisogno di esempi, di costanti e  martellanti narrazioni sul valore della scelta. Ne hanno bisogno la Calabria, l’Italia, tutti quanti noi. E ha ragione Matteo Cosenza, quando nel suo editoriale scrive: “Hanno pagato un prezzo altissimo, ma lo pagheranno ancora di più se saranno dimenticate e il loro esempio non diventerà un patrimonio collettivo che rigenera in bene e felicità le azioni della gente di questa terra. Facciamole diventare l’immagine di una Calabria combattiva e positiva, di quella bella Calabria che tutti vorremmo e che purtroppo non c’è”. A questa speranza, a questo appello, non possiamo che aderire. Non solo l’8 marzo, ma tutti i giorni dell’anno.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org