In uno Stato, si sa, la coscienza sociale è veicolata dall’informazione, proprio per questo a chi lavora in questo importantissimo e delicato settore si richiede (o si dovrebbe richiedere) onestà intellettuale ed imparzialità. Tutte doti che sfortunatamente sembrano sempre più carenti in Italia (non ci riferiamo solo al direttore del più ridicolo telegiornale di regime mai esistito, ma a buona parte degli operatori del settore); da noi l’informazione viene trattata come qualunque altro servizio, viene considerata in quanto possibile produttrice di profitto, finendo inevitabilmente condizionata dall’indice di gradimento alla stregua di una qualunque trasmissione televisiva o della meno impegnata rivista di gossip. Al momento la notizia che ha maggiormente interessato e coinvolto il pubblico è stata la tragedia della Costa Concordia: accade così che il possibile sversamento di idrocarburi al largo dell’Isola del Giglio divenga più importante dell’ennesimo, taciuto, sversamento nel Mar Grande di Taranto.

Tutti i telegiornali ci hanno ripetuto, sino a stremarci, che i serbatoi della nave da crociera contengono oltre 2380 tonnellate di olio combustibile, che, se riversatesi in mare, potrebbero provocare un ingente disastro ambientale, ci hanno propinato una ricostruzione di come avverranno i lavori di recupero del carburante e si è giunti persino ad ipotizzare un rischio di contaminazione delle acque a causa dei detersivi e dei saponi che si trovavano a bordo. Nessuno ci ha invece informati che un po’ più al Sud (sarà questo a renderlo meno importante?), in una Taranto già martoriata dalle continue emissioni di diossina e di altri agenti inquinanti dai camini industriali, pochi giorni fa, nelle acque prospicienti Punta Rondiella, è apparsa, nei pressi di un canale di scarico delle acque di raffreddamento degli impianti Eni, una chiazza scura lunga oltre 100 metri.

La guardia costiera, aiutata da alcuni operai della raffineria, ha subito provveduto alla circoscrizione dell’area e ad allertare i tecnici dell’Arpa (Agenzia Regionale per la Protezione dell′Ambiente), che hanno dapprima effettuato alcuni campionamenti del materiale oleoso per poterlo analizzare per poi dedicarsi alle necessarie operazioni di bonifica con l’aiuto degli operatori dell’Ecotaras. Nessuno ce ne ha mostrato una ricostruzione digitale, eppure le operazioni per la messa in sicurezza dell’ecosistema marino, avvenute con l’impiego di numerosi cuscini in materiale assorbente, non sono state affatto semplici ed hanno richiesto cinque ore di lavoro, durante le quali alcune onde hanno spinto parte della sostanza inquinante anche sulla terra ferma. Secondo il direttore dell’Arpa di Taranto, Maria Spartera, è probabile che si tratti di idrocarburi provenienti dalla Raffineria Eni.

Al momento, la Capitaneria di Porto si sta ancora occupando delle indagini per individuare i responsabili e chiarire le circostanze che hanno portato allo sversamento in mare della sostanza inquinante; in ogni caso, secondo quanto dichiarato dai tecnici, la sostanza (probabilmente idrocarburi non pesanti) non avrebbe raggiunto i fondali e di conseguenza non avrebbe seriamente compromesso l’ecosistema marino della zona.  Ciò che è comunque certo è che non è la prima volta che a Taranto (e purtroppo non solo) la pigrizia e la cupidigia umana rischiano di compromettere forse il più un grande dono della natura all’uomo: il mare. Come recentemente dichiarato da Franco Tassi, biologo da anni impegnato nella difesa del Mediterraneo e della sua vita: “Godevamo il privilegio di avere i luoghi più belli del mondo, baciati dalla natura e resi incantevoli dalla storia, luoghi che i viaggiatori di ogni tempo hanno considerato le mete più incantevoli e prestigiose… ma tutto quello che abbiamo saputo fare è riempirli di impianti petrolchimici e officine, palazzoni e inquinamenti, fanghi e rifiuti, cemento e liquami”.

Anna Serrapelle- ilmegafono.org