C’è una vecchia palazzina, a pochi minuti dalla piazza centrale del paese. Una rampa di scale e una porta. Una volta entrati ci sono tre stanze, piene di attrezzature tecniche, foto, dipinti, disegni, locandine e targhe premio. Tre stanze e quattro persone. Quattro persone e una forza immensa. Siamo a Partinico, nel cuore della Sicilia occidentale. Da Siracusa ci vogliono circa 3 ore, durante le quali attraversi tutta l’isola, la tagli in diagonale passando dall’imponente vulcano dal dorso bianco al verde vivido delle colline ennesi e nissene, dalle montagne con i cappelli di neve al mare di Palermo e alle vallate suggestive e rocciose che sanno di storia e che circondano la città. Quelle tre stanze sono il cuore del giornalismo antimafia nella valle dello Jato. Una stanza per leggere e registrare i servizi, una per montaggio e regia, un’altra per il telegiornale più lungo del mondo. Due ore in cui la parola viene liberata, senza paura, senza padroni né padrini. Nomi e cognomi di uomini piccoli quanto crudeli, mostruosi, spaventosi. Mafiosi, boss e picciotti, colletti bianchi, fiancheggiatori, corrotti, collusi, complici. Ci sono tutti. E ogni giorno si beccano prese in giro e un insulto sempre uguale (“pezzo di merda”), come commento alle notizie sugli intrecci e sull’inquinamento mafioso che opprimono questa parte di Sicilia in lotta.

A sfidare la mafia è un giornalista, un uomo ironico e intelligente, che detesta le forme e i rituali e ama la sostanza, quando questa coincide con la verità. Quest’uomo è Pino Maniaci, conduttore del tg di Telejato, piccola emittente di sua proprietà che fa tremare cosa nostra. Una tv a “gestione familiare”, come la chiama Pino, perché a portarla avanti è lui insieme alla sua famiglia. Un lavoro quotidiano, costante, durissimo, che è frutto di passione per la verità e per la giustizia, sentimento che alimenta il sogno di una Sicilia e di un’Italia libere dalle mafie. Vedere lavorare la piccola redazione di Telejato è un esercizio di giornalismo vero, oltre che di emozionante condivisione. Tra una telefonata e l’altra, un ospite e l’altro, le chiacchiere sui fatti del giorno e le battute immancabili di Pino, si prepara il telegiornale. E non puoi sottrarti, non puoi stare lì a guardare senza far niente, perché Pino d’un tratto ti dà in mano un paio di fogli e ti “ordina” di andare a registrare il servizio. E devi fare in fretta che tra meno di 15 minuti si va in onda.

Condurre il tg con lui è un’esperienza che non puoi dimenticare perché ti permette da vicino di sentire il sapore del coraggio di un uomo che non si ferma. Nei suoi occhi vedi tutta la serietà che le battute cercano di tanto in tanto di attenuare. Lo senti rivolgersi al boss Matteo Messina “Soldino” (Denaro), sfidarlo, invitarlo a consegnarsi alla polizia e poi insultarlo con l’immancabile Pdm (“Pezzo di merda”). Lo fa da Partinico, nel suo territorio, non da Bolzano o da Aosta. E tu, in quel momento, senti che non vorresti essere da nessun’altra parte se non lì a fianco a lui, ad assistere all’uso migliore che si può fare di una telecamera. È fermo, serio e incazzato Pino, quando ha da rimarcare le vergogne di ciò che accade nel territorio, soprattutto in campo politico. Nessuno sfugge al controllo di Telejato, sentinella di legalità pronta a mettere a nudo le ipocrisie imbarazzanti di chiunque, non importa a quale partito appartenga. Così dovrebbe essere un giornalista normale: non un cane al guinzaglio, ma un cane da guardia a difesa della verità, pronto ad azzannare chiunque cerchi di affossarla e distruggerla.

Nonostante gli attentati e le minacce che lo costringono a vivere e muoversi sotto tutela, Pino va avanti, perché non potrebbe mai piegarsi. Ha la schiena dritta e con lui la sua famiglia e i più stretti collaboratori di Telejato. Un presidio fondamentale che però rischia di scomparire, perché è lo Stato che spesso, in questo Paese, arriva in soccorso della mafia. La normativa sul digitale terrestre e sull’assegnazione delle frequenze rischia seriamente di far sparire Telejato, che non avrebbe più un canale su cui trasmettere. Ciò significherebbe isolare e condannare a morte Pino, perché la mafia uccide quando si è soli o quando si smette di stare sotto i riflettori dell’opinione pubblica. Quando cala l’attenzione il clamore è minore e la mafia agisce. E noi non possiamo permetterlo.

L’on. Lumia ha presentato un’interrogazione per chiedere al governo chiarimenti su come intenda tutelare le emittenti piccole che verranno penalizzate. Sul web si moltiplicano gli appelli e le prese di posizione a favore di questa straordinaria realtà giornalistica, seguita ogni giorno da circa 200 mila persone in tv e su internet. Una realtà che va assolutamente salvata e difesa da tutti coloro che credono nella vera informazione e nella giustizia. Pertanto, in attesa che le istituzioni (compreso l’Ordine dei giornalisti da cui ci attendiamo una mossa in tal senso) diano una risposta, costringiamoli a sentire il nostro coro di solidarietà a Pino e la nostra richiesta per salvare Telejato. Firmiamo l’appello.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org