L’opera di Diane Nemerov (1923-1971), conosciuta ai più come Diane Arbus, leggenda della fotografia americana degli anni Sessanta e Settanta, è attualmente in mostra al Jeu de paume di Parigi e lo sarà fino al 5 febbraio 2012. In questa magnifica struttura, gemella dell’Orangerie (dedicata a Monet e agli impressionisti), si susseguono mostre fotografiche di grande interesse e spessore. Da questa mostra ci aspettavamo di più. A parte la lunga fila che parte all’ingresso e che continua nelle sale lungo lo svolgimento dell’esposizione, di cui non si può accusare nessuno se non l’organizzazione, avida d’ingressi, la mostra si propone al visitatore come un enorme guazzabuglio in cui tutte le opere di questa grande artista si trovano esposte senza criterio né cronologico, né tipologico e, solo alla fine, offre una chiave di lettura della vita, delle opere e della filosofia dell’artista.

Una mostra dispersiva, paragonabile ad una ricerca di immagini su Google, che non focalizza gli elementi cardine della vita di della Arbus, sulla quale ci permettiamo di dare qualche informazione pratica qui di seguito.

Dopo un lungo “apprendistato”, iniziato dopo la seconda guerra mondiale, quando aprì col marito Allan Arbus uno studio fotografico in cui lei aveva il ruolo di stilista, iniziò a interessarsi attivamente e definitivamente di fotografia alla fine degli anni Cinquanta. Nel 1963 realizza American Rites, Manners and Customs (Riti, usi e costumi del popolo americano) una carrellata di ritratti di americani sconosciuti di cui sono messi in evidenza i riti sociali. Diane prosegue la sua attività con grande spirito creativo e contribuisce a far considerare la fotografia documentaria come una forma d’arte degna e a se stante. Concentra la sua attività a New York fotografando gli sconosciuti nelle strade.

Affezionata agli emarginati e agli invisibili della società americana, la Arbus ritraeva anche nudisti, travestiti, ragazzi affetti dalla sindrome di Down, gemelli, nani, i freaks insomma, i mostri umani di cui nessuno si curava e a cui solo lei in quel periodo diede volto e dignità. Le sue foto hanno un sapore familiare ma al contempo anomalo, a causa della natura dei soggetti. I suoi scatti lasciano inoltre trapelare un grande coraggio, necessario per vivere e testimoniare certe realtà estreme, ma anche per cambiare vita e lasciare il proprio marito e due figli dopo più di dieci anni e, infine, per togliersi la vita nel 1971.

Per quanto confusionaria questa prima retrospettiva parigina offre più di duecento scatti dell’artista americana tra i quali alcuni inediti ai quali vale la pena dare un’occhiata.

http://www.jeudepaume.org/index.php?page=article&idArt=1470&lieu=1

Angelo De Grande -ilmegafono.org