Tra contraddizioni e boom economico, la Cina torna a far parlare di sé, ma stavolta non in senso negativo. Il gigante d’Oriente sta infatti intraprendendo una corsa al rinnovabile senza precedenti, per quella che si definisce come la vera e propria sfida del millennio. Testimone di questa promessa, se così la si vuole definire, è il dott. Valerio Rossi Albertini, professore di chimica fisica dei materiali innovativi e ricercatore del Cnr, reduce dal summit a Dalian in Cina, durante il quale diecimila delegati da tutto il mondo hanno discusso il tema delle fonti energetiche rinnovabili e della green economy. “Leading the green economy: returning to harmony with nature” è il nome dato alla conferenza, che tradotto parla chiaro: “portare la green economy ad un livello superiore”.

Rossi Albertini ha evidenziato la grande determinazione dei cinesi nel portare a termine il progetto “rinnovabile” a partire dall’eolico: nel 2012 saranno investiti 47,9 miliardi di dollari, per far sì che entro il 2020 sia ultimata la costruzione di un immenso parco eolico che potrà fornire potenza ed energia per 20gigawatt. Una copertura energetica pari a quella prodotta da venti reattori nucleari. L’industria cinese è tuttavia già rodata nella costruzione di impianti eolici: una buona percentuale di pale eoliche sparse per il mondo sono di produzione cinese.

Questo sprazzo di luce si fa strada tra molteplici ombre: l’aria di Shangai e Pechino, le città più importanti del paese, è ancora irrespirabile, tanto che il sole è appena visibile sotto la coltre di gas serra. Un’atmosfera che gli esperti paragonano al “fumo di Londra” ottocentesco. Ed ottocentesche sono, purtroppo, le fonti energetiche predilette dalla Cina, una su tutte, il carbone.

Altra pesante ombra sulle politiche ambientali Made in China è la diga di Hubei, un gigantesco impianto idroelettrico che sta letteralmente distruggendo campi, centri abitati e foreste. Il progetto per lo sviluppo della green economy è un segno di speranza da parte della Cina, che tuttavia non vuole rinunciare alle emissioni di gas serra, in quanto necessari allo sviluppo industriale, cosi come è accaduto per le altre potenze mondiali. Insomma, sembra quasi un diritto poter inquinare.

Laura Olivazzi -ilmegafono.org