Claudia (51 anni), Carlo (37 anni), Silvia (42 anni), Fabio (40 anni), Matteo (35) … Hanno tutti un volto, un nome e molti una famiglia, i dipendenti precari della scuola pubblica che, all’inizio di settembre, una volta fatte le “nomine”, hanno perso il lavoro. E, nonostante molti di essi fossero consapevoli di non avere alcuna possibilità di ottenere un incarico per il 2011-2012, la delusione di vedere sprecati ancora una volta anni di servizio (che non contano ai fini delle future retribuzioni) e di studi (anche costosi come le Ssis, le Scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario, abolite nel 2009) è stata lacerante.

Nello stesso momento in cui i precari vedevano sfumare la loro possibilità di un impiego per i prossimi 9 mesi,  il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno scolastico, affermava, davanti ad una platea di tremila persone, tra docenti e studenti provenienti da oltre 200 istituti scolastici, che “la scuola non deve più solo includere, e quindi garantire il diritto allo studio per tutti, ma lavorare per l′innalzamento delle competenze di ciascun ragazzo”. Niente potrebbe essere più difficile con una scuola “precaria e malata”. Come si fa a “innalzare le competenze degli studenti” se gli stessi insegnanti non possono garantire la continuità didattica, se decine di migliaia di docenti perdono il posto a settembre per riacquisirlo dopo un anno o forse più in un altro istituto scolastico, spesso in un’altra città o in un’altra regione?

Ci sono famiglie, in cui entrambi i genitori sono insegnanti precari, costrette a dividersi tra una regione e l’altra, perché spesso, sempre più spesso, il padre ottiene il “prezioso incarico annuale” in una città e la madre in un’altra. E allora i figli rimangono con uno o con l’altro, anche per anni, costretti a vedere uno dei genitori nel fine settimana se va bene o solo durante le feste nel peggiore dei casi. Ci sono famiglie che si rompono, si distruggono perché in Italia manca una politica strategica e ragionata per la scuola, per lo sviluppo del sistema scolastico e per il suo adeguamento alla situazione attuale.

Ci sono insegnanti, preparati, con lauree in ingegneria o in architettura, che sono costretti a svolgere ruoli di segreteria o di sostegno, pur di mantenere un incarico e “salire in graduatoria”, e spesso a centinaia di chilometri dalla propria casa. Ci sono classi sovraffollate, come a Modica, in Sicilia, dove un insegnante deve seguire 40 o 50 studenti contemporaneamente. Ci sono presidi costretti a gestire più di una scuola contemporaneamente e, nella stragrande maggioranza dei casi, in assenza di risorse finanziarie e umane adeguate.

E allora come fa un ministro, che per altro, negli anni del suo mandato, ha fatto quasi esclusivamente tagli alla scuola pubblica, a parlare di “innalzamento” delle competenze? Forse il ministro Gelmini dovrebbe riflettere un po’ di più su ciò che ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, poco prima di lei, alla cerimonia d’inaugurazione del nuovo anno scolastico. Napolitano ha affermato che “la costruzione di un futuro migliore passa dalla scuola” e che “c’è ancora molto da fare”.  Alla scuola è riservata “una collocazione riduttiva”, le risorse sono scarse e invece “una scuola moderna richiede una quota adeguata di risorse nell’ambito del bilancio dello Stato”.

In Italia, è ormai provato e documentato, gli investimenti nel settore dell’istruzione pubblica sono insufficienti. L’ultimo rapporto dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) sull’istruzione è piuttosto chiaro: in Italia si investe per scuola e università solo il 4,8% del PIL contro il 6,1% della media dei paesi OCSE. L’Italia è al 29mo posto su 34 paesi per la qualità del sistema scolastico. Tra il 2000 e il 2008 nel Bel Paese la spesa sostenuta dagli istituti d’istruzione per studente nei cicli di livello primario, secondario e post-secondario non universitario è aumentata solo del 6% (rispetto alla media OCSE del 34%). Gli stipendi degli insegnanti in Italia sono circa il 40% inferiori agli stipendi di altri lavoratori con livello d’istruzione comparabile e, tra il 2000 e il 2009, sono leggermente diminuiti (-1%), a fronte di una crescita media del 7%, in termini reali, nei Paesi dell′OCSE.

I dati, e il rapporto dell′OCSE ne è pieno, parlano da soli. Il “futuro migliore” di cui parla Napolitano però non si costruisce da solo. Solo una riforma organica e moderna, accompagnata da cospicui stanziamenti statali, può “curare” le malattie dell′istruzione pubblica  e la crisi economica non può e non deve nascondere l′incompetenza dei nostri governanti. In altri paesi “in crisi” gli investimenti nell′istruzione continuano, basterebbe un pò di lungimiranza, ma forse quello che manca alla classe politica italiana, ora, oltre al contatto con la realtà, è soprattutto l′interesse per il bene pubblico.

G.L. -ilmegafono.org