In un mondo perfetto, in uno Stato perfetto, chi infrange le leggi non viene certamente premiato ne gli viene fornito un utile strumento per infrangerle meglio. Purtroppo, però, l’Italia è ben lontana dalla perfezione e le recenti vicende di Taranto (ancora una volta  troppo poco pubblicizzate) ne sono un’evidente dimostrazione. Nelle ultime due settimane, infatti, l’Ilva (l’acciaieria di Taranto) è stata nell’occhio del ciclone ma ne è uscita vincente e con nuove, a lei favorevoli, autorizzazioni.  Dalla seconda metà di giugno sembrava che finalmente qualcosa si muovesse, che la mobilitazione sociale contro l’inquinamento cominciasse a registrare i primi risultati. A distanza di pochi giorni l’Ilva ha dovuto fronteggiare una richiesta di sequestro degli impianti da parte del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Lecce ed i risultati dei campionamenti effettuati (a sorpresa) dall’Arpa a metà maggio.

I carabinieri del NOE avevano chiesto la misura cautelare del sequestro degli impianti in seguito ai controlli effettuati per 120 giorni sull’attività dell’acciaieria, presentando un dossier di oltre settanta pagine (più allegati) illustrante tutte le anomalie riscontrate (come l’accensione delle torce di acciaieria). Ma il Gip incaricato, Patrizia Todisco, non ha accolto la richiesta dei carabinieri ed ha prolungato di sei mesi il tempo concesso ad alcuni esperti per completare uno studio sugli effetti dannosi delle emissioni sulla salute della popolazione e sull’ambiente. Considerando, però, il fatto che alcuni studi hanno dimostrato come, a causa dell’inquinamento ambientale troppo elevato, i polmoni dei bambini di Tamburi (il quartiere tarantino limitrofo all’Ilva) subiscano danni molto simili a quelli che sarebbero comportati dall’inalazione di circa 800 sigarette all’anno, sei mesi sono un’eternità per chi vive in quella zona.

Notizie preoccupanti per la salute dei tarantini e per l’ambiente sono pervenute inoltre, lo scorso 28 giugno, dall’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Puglia che, nei campionamenti di maggio, ha riscontrato una concentrazione di diossina nell’aria di 0,70 nanogrammi per metro cubo, quasi il doppio del valore massimo consentito per legge (0,40 nanogrammi per metro cubo). L’Ilva, dunque, presenta notevoli anomalie nel proprio processo produttivo ed inquina molto più di quanto consentito, ma i suoi impianti non sono stati sequestrati e né le è stata comminata alcuna multa, anzi sembrerebbe essere stata “premiata”. Lo scorso 6 luglio le è stata infatti concessa l’Aia (Autorizzazione integrata ambientale), un’autorizzazione indispensabile per poter proseguire la produzione nello stabilimento.

Questo nuovo provvedimento del ministero dell’Ambiente (ma sarebbe forse opportuno cominciare a pensare ad un nuovo nome più appropriato per il ministero della non proprio ambientalista Stefania Prestigiacomo) permetterà all’Ilva di aumentare la propria produzione (sino a 15 milioni di tonnellate di acciaio l’anno) e, contestualmente, prevede l’aumento dei limiti per i macroinquinanti ed un sostanziale decremento dei controlli ambientali. Proprio quello che serviva a Taranto ed ai suoi cittadini.

Le reazioni degli ambientalisti non si sono fatte attendere: Legambiente ha espresso il proprio auspicio affinchè la Regione si attivi per sollecitare un riesame dell’Aia da parte del ministero; l’associazione Altamarea si è detta “tradita da Regione, Provincia e Comune”; il Comitato Donne per Taranto (che pochi giorni fa è riuscito, tramite una propria rappresentante, a portare “il caso Taranto” su RaiTre) si è detto molto deluso e preoccupato ed ha dichiarato di essere ancora in attesa di azioni concrete da parte delle istituzioni. Ma, malgrado tutti questi “inviti” ad attivarsi per il bene di Taranto ed i tarantini, queste istituzioni continuano con il loro assordante silenzio, con la loro inaccettabile inerzia. Tutto questo mentre Taranto si ricopre di dannosissima polvere rosa che ammorba tutto e tutti.

Anna Serrapelle- ilmegafono.org