Ottobre, novembre, dicembre, gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno, luglio. Mancano 3 mesi, poi la boa verrà aggirata. E sarà tutto uguale. Oltre quattordicimila persone la notte fra l’1 e il 2 ottobre del 2009 hanno assistito ad un evento devastante nella zona sud del messinese: in 38 hanno perso la vita. Di qualcuno sono rimaste solo le gambe a ricordare che non si è fatto abbastanza, che c’è qualcosa che non va se non si riesce a trovare il mezzo corpo per scrivere un nome che faccia 39. Ma il termine “ricordare”, in casi come questo, è bandito dall’elenco di quelli pronunciabili. Oggi la via Puntale è tornata ad essere piccola. Un degradare di gradini, pietre antiche che scendono disegnando una stradina strettissima, che a vederla non diresti mai potesse esser stata fatta enorme nello spazio di una notte. Ha avuto 19 morti la via Puntale, sommità dell’antico borgo messinese di Giampilieri Superiore. Insieme al Comune di Scaletta Zanclea, a un tiro di schioppo da lì, quel borgo, a cui si sommano i minuscoli centri di Molino e Altolia, è stato protagonista di un terribile evento, quel primo d’ottobre. Tanto drammatico quanto dimenticato.

Oggi al di là dei Peloritani non se ne parla. Si è fatto rumore per qualche giorno, dopo il disastro, sono state mandate in giro le immagini dei soccorritori, degli sfollati, si è parlato di Protezione Civile, abbiamo visto Bertolaso scendere da un elicottero, Berlusconi aggirarsi a palazzo Zanca, e niente di più. Se ne sono andati tutti, poi, portandosi via false promesse (su tutte quelle del premier, che assicurava agli sfollati “case come a L’Aquila”, rimaste solo sulla sua bocca) e lasciando lì false accuse. Perché agli abitanti di quelle zone rimarrà attaccata come pece ai muri l’etichetta di abusivi. Risalendo il centro, lì a Giampilieri, ci si trova sotto una lastra di marmo su cui è incisa una frase che ricorda come i soldati spagnoli provarono a rubare la statua della Madonna, ma rimasero uccisi nello scoppio di un bel po’ di barili di polvere dentro una casa. Era il diciassettesimo secolo. E quella casa era lì da molto prima. Tutto era lì da molto prima, in quelle zone. Sono vecchie le case, vecchissime. Ad Altolia producevano una seta pregiatissima nei secoli passati, e c’è da giurare che il baco lavorava lì almeno dal 1200 per soddisfare le preziose bramosie delle stirpi regali di mezza Europa.

Quella gente non è abusiva. Semmai gli amministratori, negli anni, hanno abusato del loro potere ignorando il pericolo sempre crescente di una terra fattasi arida, di montagne sempre più fragili che trattenevano il respiro secco per evitare di lasciarsi andare su quelle vecchie mura. Hanno ignorato loro come hanno ignorato il capo del Genio Civile di Messina, Gaetano Sciacca. È un bel po’ di tempo che Sciacca si sbraccia chiedendo di evitare di dare concessioni edilizie a mani basse ignorando la cinquantina di fiumi e torrenti che scorrono nel territorio (quattordici solo nella zona del disastro di ottobre), ma niente. Un “no” gli arrivò pure il giorno dell’alluvione devastante. Ci vorrebbe un nuovo Prg, lì dove – scriveva Paolo Casicci su Il Venerdì di Repubblica poco tempo fa – si sta consumando il “sacco edilizio legale”. Eppure si parla d’altro. Degli sfollati non si sa granché. Loro non protestano poi tanto, anzi: si danno la zappa sui piedi. Nel minuscolo borgo di Giampilieri sono nati addirittura tre Comitati post-alluvione (l’ultimo è di qualche giorno fa). Tre per chiedere sostanzialmente la stessa cosa, cioè attenzione e aiuto concreto, solo che hanno voci diverse.

Addirittura i primi due nati arrivarono ad ostacolarsi a vicenda nelle proteste: a febbraio uno scese in piazza, a Messina, preparandosi a sfilare in corteo, ma il corteo sfumò perché erano troppo pochi. Pare che l’altro boicottò la cosa. E allora c’è da allargare le braccia. Così davvero non si arriverà a nulla. Solo che la confusione piace, viene alimentata. È facile distogliere l’attenzione dal problema reale, se c’è confusione. Così da un po’ di tempo nel messinese si celebra la figura di un eroe defunto, un mito tutto peloritano. Al povero Simone Neri, caduto in via Puntale, si intitolano scuole, strade, piazze: “Salvò sette, otto vite”, dicono sindaco e compagnia bella. Ma non salvò nessuno il povero Simone. “Con la famiglia riuscirono a fare entrare in casa solo una vicina, già salvatasi dal crollo della sua casa”, ricorda Giuseppe De Luca, coriaceo brigadiere della Gdf che la notte del primo ottobre si giocò la vita alla ricerca di sua madre. La trovò morta, qualche giorno dopo, ma quella ricerca gli permise di salvare un bambino, di aiutare i sopravvissuti di via Puntale e di bloccare la fuga di gas che avrebbe fatto saltare in aria l’intero borgo.

Di lui non si parla, “non mi interessa”, dice. Vorrebbe però che quella scuola di Giampilieri fosse intitolata a tutti i caduti, vorrebbe che l’attenzione si canalizzasse sui veri problemi anziché su una falsa vicenda che strappa lacrime e distoglie gli sguardi dai luoghi colpiti; vorrebbe che ci si concentrasse sulla mancata messa in sicurezza, sui responsabili di un terrificante silenzio impiantato già nel 2007, quando un evento simile non riuscì a far morti. “Dopo il 2007 Giampilieri sparì dal Piano siciliano di messa in sicurezza” ricorda Dino Sturiale, fotoreporter messinese che per primo giunse sul luogo del disastro a catturare immagini. Già, ci sono volute alcune ore di pioggia incessante per farsi notare. E poi, al di là di parole come queste, rare come la seta di Altolia, ricadere nel silenzio. Oggi Giampilieri riappare sotto forma di moribondo, con l’annuncio di Lombardo – nominato dal Governo “Commissario Straordinario per l’emergenza” – di 24 milioni di euro disponibili per “interventi urgenti”. Lo ha detto il 22 giugno scorso, a più di nove mesi di distanza dal disastro. Urgenti come un cesareo.

Sebastiano Ambra–ilmegafono.org