Nell’ultima settimana si è tornato a parlare di mafia e di bombe. La polizia ha sventato un attentato ai danni di Paolo Borrometi, giornalista siciliano trentacinquenne che da anni è nel mirino dei boss di cosa nostra per le sue inchieste che hanno messo in luce diverse situazioni scabrose nelle province di Siracusa e Ragusa. Il fondatore della testata online “La Spia” è stato oggetto di alcune intercettazioni nelle quali Salvatore Giuliano, boss pachinese, e Giuseppe Vizzini, suo socio in affari e arrestato nell’ambito di una inchiesta per le minacce e l’esplosione dell’auto di un’avvocatessa, ipotizzavano l’omicidio di Borrometi.

Borrometi in passato aveva già condotto diverse inchieste di denuncia sul malaffare siciliano e nel 2014 ne aveva pagato le conseguenze, subendo un’aggressione mentre indagava sull’assassinio di Gaetano Inglese, avvenuto due anni prima. Questa volta l’inchiesta del giornalista si era concentrata sull’attentato del 30 dicembre 2017 ai danni dell’avvocatessa siracusana Adriana Quattropani che, in qualità di curatore fallimentare, si era recata a un distributore Esso di Pachino per mettere i sigilli alla pompa di benzina. La stessa attività dalla cui gestione era stata estromessa Franca Corvo, moglie di Vizzini, e che era stata restituita al legittimo proprietario dal giudice di procedura fallimentare di Siracusa.

Dopo le minacce non troppo velate, alla fine è stata piazzata una bomba carta sotto la vettura del legale. Per fortuna l’ordigno artigianale è esploso quando l’avvocato Quattropani non era nei pressi dell’autovettura. Il giornale di Borrometi aveva messo in luce la faccenda facendo nomi e cognomi dei responsabili. Evidentemente la cosa non era piaciuta allo stesso Vizzini né a Giuliano, i quali non hanno mancato di farlo presente in diverse conversazioni intercettate con riferimento all’eventualità di “colpire” il giornalista. È agghiacciante ad esempio la frase attribuita a Salvatore Giuliano: «Ogni tanto un morticeddu (morto ammazzato ndr) vedi che serve per are una calmata a tutti».

Sembra dunque che la mafia non abbia perso l’abitudine di colpire chi non si adegua al clima di omertà che vige in molte aree del Paese, da nord a sud. Questa volta però le forze dell’ordine sono state tempestive andando a bloccare, almeno per ora, le velleità di questi esponenti criminali nei confronti di Borrometi. Nei giorni scorsi non è mancata la solidarietà al giornalista da parte di una grossa fetta delle istituzioni del nostro Paese. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lo ha insignito del titolo di Cavaliere al merito. Nella stessa circostanza, anche Federica Angeli, giornalista che da anni lavora sotto scorta per via della sua lotta contro la malavita organizzata dell’ostiense, ha ricevuto lo stesso riconoscimento.

Vicende che mostrano che la lotta alle mafie dovrebbe essere una priorità per l’Italia, ad ogni latitudine. La mafia sta cercando ancora una volta di mettere in crisi la credibilità del nostro Paese. Oggi più che mai è pertanto importante rispondere alla violenza del linguaggio mafioso, rivendicando la nostra libertà. Scrivere ad ogni livello diventa una vera e propria missione culturale che non può essere messa in secondo piano.

Ed è allora fondamentale Paolo Borrometi, Federica Angeli non vengano mai lasciati soli, così come è importante la memoria di quei giornalisti che purtroppo sono stati uccisi, come Pippo Fava, Peppino Impastato, Giancarlo Siani e molti altri. Le loro storie devono essere raccontate quotidianamente, per capire quanto costi la nostra libertà e quanto è importante difenderla.

Vincenzo Verde -ilmegafono.org