Il 19 marzo scorso, come ogni anno, si è celebrato il ricordo di don Peppe Diana, prete anticamorra, ucciso 24 anni fa dal clan dei casalesi. Quella di don Diana è diventata una figura estremamente emblematica nella lotta alle organizzazioni criminali, perché il prete della diocesi di Aversa fu il primo ad alzare la voce in un territorio che per più di mezzo secolo era stato dilaniato dalla camorra. Il clan dei casalesi, originario come don Peppe di Casal di Principe in provincia di Caserta, è ancora oggi uno dei clan più forti in Italia nel controllo della cocaina e gestisce ancora molti traffici anche all’estero. Dalla fine degli anni ‘80, l’instabilità interna della cosca trasformò tutta la zona dell’aversano in un territorio di guerra di camorra che non mancò di mietere molte vittime innocenti.

In un contesto di totale degrado culturale e di abbandono da parte delle istituzioni, la figura di Giuseppe Diana divenne l’unico appiglio di speranza per le molte famiglie legate alla sua parrocchia e non solo. Nel Natale del 1991, l’impegno attivo del sacerdote raggiunse il suo culmine, quando egli riunì tutti i parroci della forania di Casal di Principe e formulò il celebre documento “Per amore del mio popolo”, che fu diffuso in tutte le chiese del comune.  In questa breve lettera il sacerdote sfidava apertamente la camorra ed esortava i cittadini a ribellarsi a quella che lui definiva una vera e propria dittatura dell’antistato; inoltre, il documento si rivolgeva anche allo Stato e alle istituzioni che avevano dimenticato questa zona. Purtroppo quest’ultimo appello cadde nel vuoto.

Fino all’inizio degli anni ‘90 c’erano decine di testimonianze nel sud Italia di preti che sfidavano la criminalità e cercavano di aiutare i giovani, fornendo educazione e assistenza alle famiglie. Le mafie non toccavano i sacerdoti e, anche se a volte la Chiesa scendeva a compromessi con i criminali, non si può dimenticare che in tutto il sud Italia, in determinate realtà, i sacerdoti rappresentavano l’unica vera alternativa alla criminalità per le comunità del posto. Poi il 15 settembre 1993 a Palermo fu ammazzato don Pino Puglisi da cosa nostra e anche l’ultimo tabù delle mafie crollò. Nei mesi successivi don Diana non arretrò minimamente di fronte al pericolo e continuò ad aiutare la sua comunità e il suo popolo che tanto amava, fino al suo ultimo triste onomastico del ‘94.

Quest’anno, per la prima volta da tempo non ci sono state marce per ricordare il sacerdote, ma la sua memoria è vivida nel cuore di chi continua a lottare per dare un futuro alla sua terra. Dunque, per questo anniversario, la memoria si è coniugata in impegno e, il 19 marzo scorso, in uno dei beni confiscati di Casal di Principe, intitolato proprio al prete anticamorra, si sono tenuti gli “stati generali delle terre di Don Diana”, una riunione di tutti gli addetti ai lavori nella lotta al crimine che hanno fatto il punto della situazione in una terra dove la camorra è viva, ma sta facendo i conti con il rinnovato impegno di chi ha deciso di credere ad un’alternativa possibile.

La storia di don Peppe ce la dobbiamo raccontare ogni anno e il ricordo deve rimanere vivo proprio perché la memoria dei grandi uomini è il miglior modo per ispirare il nostro impegno con l’obiettivo non di creare nuovi eroi, ma di costruire un Paese che non ne abbia più bisogno.

Vincenzo Verde -ilmegafono.org