La Giornata della Memoria dovrebbe essere un momento di ricordo e di riflessione. Non una questione retorica e nemmeno politica, ma innanzitutto umana, figlia di quel rispetto umano che oggi purtroppo è materiale degradato, costume desueto in una cultura sempre più divorata dalla massificazione dell’ignoranza e del cattivo gusto. La Giornata della Memoria, in un Paese che sta lentamente uccidendo quella memoria, è un paradosso doloroso che trova esplicitazione in tutto quello che accade nei giorni nostri, nelle parate negazioniste, nelle marce funeste di nostalgici codardi, nelle parole che consapevolmente oltrepassano i limiti dell’accettabile e del civile. Un paradosso che indossa abiti diversi, spesso politici, ricoprendo posizioni di parte, mischiandosi tra vergogna e ipocrisia, tra oltraggio e retorica.

La Giornata della Memoria è una giornata durante la quale la memoria non viene rispettata affatto, esattamente come gli altri giorni dell’anno. Eppure si tratta di un giorno importante che andrebbe difeso e magari arricchito ulteriormente. La memoria dell’Olocausto, che non fu sterminio per ebrei, ma anche per zingari, omosessuali, disabili, dissidenti politici. Vanno ricordati tutti. Tutti coloro i quali sono stati vittime di quel mostruoso e freddo calcolatore disumano costituito dalla ideologia nazifascista. Questo dovrebbe essere compreso da chiunque oggi trasformi un momento di ricordo in terreno di scontro politico dal livello scadente.

Non dovrebbe esserci spazio per ragionamenti che non tengono conto del dolore di milioni di vite spezzate brutalmente, uccise nel corpo e nello spirito, umiliate, straziate, cancellate, soffocate, gettate nel fuoco e sparse con il fumo sulla neve dei campi di sterminio. Non dovrebbero esistere compartimenti, steccati ideologici, primati dell’uno sull’altro, paragoni inutili, non è lecito, moralmente e umanamente (e non dovrebbe esserlo nemmeno legislativamente), avanzare teorie revisioniste.

Allo stesso modo, è stupido trasformare le vittime ebraiche della Shoah in oggetto di rivendicazioni contro quello che è oggi lo Stato di Israele.  Non ha senso, soprattutto in un giorno simile. Quelle vittime non hanno alcuna colpa, non possono pagare il prezzo di ciò che altri, anche se loro discendenti, hanno compiuto dopo a Gaza o in altre aree del mondo. Per le accuse politiche ai governanti o alle lobby di oggi, ci sono altri momenti e altri contesti. E altri sono i destinatari. Non le vittime della Shoah. Perché un giorno di riflessione e memoria umana di fronte a uno sterminio inaudito, non può essere sporcato da rancori ideologici reciproci, da questioni successive che con quei corpi e quelle vite non hanno alcun legame.

Personalmente trovo riprovevole organizzare, lo stesso giorno, contromanifestazioni politiche, che siano di estrema destra o di estrema sinistra poco importa. Sono manifestazioni sterili, vuote e peraltro fuorvianti. Non aiutano certo a capire, confondono temi e soprattutto annacquano la memoria, indebolendola dinnanzi ai fascismi e ai nazismi di ritorno, alle rinnovate teorie della razza usate come ignobile calamita elettorale. Questo è un momento buio e forse lo è perché abbiamo perso di vista il senso e la misura delle cose, ma soprattutto perché non abbiamo difeso la memoria, l’abbiamo confusa e usurata. Sono bastate poche generazioni per rendere lontani gli orrori, gli esempi e le storie terribili di uno dei peggiori crimini del Novecento.

L’abbiamo sporcata questa memoria, lasciando troppo spazio alle ideologizzazioni, alle revisioni putride, non l’abbiamo ascoltata, non abbiamo saputo riconoscere più, nel mondo di oggi, i segnali di allarme che uomini come Primo Levi ci avevano indicato. Non ha senso allora celebrare la memoria in un Paese che snobba la Shoah o la politicizza o addirittura la rievoca positivamente. In Italia, oggi, si parla nuovamente di razze, si lasciano impunite le orde di amministratori locali che vomitano oscenità razziste o auspicano forni crematori o soluzioni finali. Siamo un Paese in cui una tastiera e uno schermo permettono a qualsiasi imbecille di lanciare insulti tremendi, veicolare violenza razziale, venerare e diffondere simboli marci e nefasti del periodo nazista.

Un Paese nel quale persino chi si presenta, formalmente, come espressione di una visione democratica, indignandosi per le uscite razziste degli avversari, poi tace sulle parole di propri appartenenti o, peggio ancora, approva e sostiene misure e azioni disumane, che condannano alla violenza, alla tortura e alla morte migliaia di persone rinchiuse in nuovi lager, questa volta posti alle porte dell’Europa fortezza. Non ci sono più posizioni credibili e la politica ha il ventre molle di una palude che inghiotte tutto in maniera omogenea, annullando i confini del lecito e le distanze da ciò che lecito non è. Non è più tempo per quel senso della misura, per quel culto del pudore politico che condannava come blasfeme certe parole e azioni vergognose o certi atteggiamenti e slogan inaccettabili che oggi, invece, diventano persino bacino di consenso. Qualcosa di cui vantarsi.

Non è più tempo per quella visione antifascista che la nostra Costituzione ha promosso e posto alle basi della nostra Repubblica. In generale, non è più tempo per la celebrazione di quelle figure che il mondo del Novecento ha salutato come simboli di umana giustizia, di rivendicazione dei diritti, di liberazione da un’ingiustizia. Difficile parlare di memoria in un mondo simile, dove l’Olocausto, lo sterminio, le leggi razziali, l’Apartheid e le altre oscenità dalle quali abbiamo provato a venir fuori e a trarre insegnamento, hanno visto rinascere i germi che li hanno prodotti. Allora è impossibile sperare che questo 27 gennaio venga celebrato da tutti come dovrebbe. Assisteremo quasi sicuramente alle solite polemiche o ai discorsi vuoti degli ipocriti, ai paragoni stupidi, a qualche frase shock che poi verrà smentita, quindi nuovamente confermata, poi smentita e, infine, riconfermata.

Dall’altra parte, forse avremo la reazione piccata e retorica di chi però ha dimenticato che, poi, oltre alle parole, ci vogliono i fatti per dimostrare di essere veramente contrari alle logiche di un orrore che, magari in forme e con proporzioni diverse, oggi si potrebbe ripetere. In qualsiasi momento. È quindi ottima cosa decidere di cancellare le vie che portano il nome di aderenti al “manifesto della razza”, come ha annunciato il sindaco di Roma, Virginia Raggi.

A patto, però, che al contempo si convinca il proprio partito (e vale per tutti, non solo per i 5 stelle) a proporre e votare leggi che rendano illegali le formazioni che si richiamano al nazifascismo e le relative manifestazioni, a non appoggiare posizioni destrorse e anti-immigrati, a non siglare o sostenere respingimenti e accordi con paesi canaglia che violano i diritti umani, riproponendo la logica del lager, delle umiliazioni, delle torture, delle eliminazioni fisiche. La memoria, se la si vuole rinvigorire, va costruita concretamente. Non a parole. Di parole non abbiamo più bisogno. Dovrebbero bastarci quelle terribili dei sopravvissuti, i cui appelli però continuano a essere sistematicamente ignorati.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org