Non seguo moltissimo il basket, ma amo LeBron James, stella dell’NBA e dei Cleveland Cavaliers. Non solo per le sue indubbie qualità, per il suo enorme bottino di rimbalzi, canestri, tiri da tre, schiacciate e tutto quello che è il repertorio di un grande campione. No, LeBron James è altro. Non è solo uno dei migliori cestisti di tutti i tempi, ricchissimo, influente e impegnato, come altri, in attività benefiche. Questo gigante nero originario dell’Ohio è soprattutto un uomo coraggioso, capace di esprimere il proprio dissenso in faccia all’uomo più potente d’America e del pianeta: Donald Trump.

LeBron lo attacca da quando il presidente ha iniziato a scalare la vetta politica degli USA. Gli è costato anche critiche, ma lui è andato avanti, non si è fermato mai. Le posizioni razziste e discriminatorie di Trump non vanno proprio giù a James. Così come non vanno giù le sparatorie violente e gli omicidi commessi dai poliziotti bianchi ai danni di individui dalla pelle nera. LeBron James non ha avuto problemi nel definire “straccione” il presidente Trump, non ha arretrato di un millimetro fregandosene delle reazioni che avrebbe scatenato o della perdita di popolarità tra i suoi tifosi di orientamento repubblicano.

James crede ancora, fermamente, nell’America dell’uguaglianza, dei diritti, quella che ha lottato al suo interno per superare una terribile storia di discriminazione che oggi il presidente sta riproponendo, riportando indietro le lancette del tempo. «Non contano – ha detto James – razza, colore, ceto sociale, siamo americani e abbiamo tutti il diritto di batterci per avere gli stessi diritti. Non lasceremo che una certa persona agisca come un dittatore». Lo ha detto a Washington, nella città della Casa Bianca.

Lo ha detto nel giorno della partita tra i suoi Cavs e i Washington Wizards, vinta dalla squadra di LeBron James, decisivo come sempre e sceso in campo con una scarpa bianca e una nera: su ciascuna di esse si poteva leggere la parola Equality, ossia “uguaglianza”. Un messaggio chiaro, forte, netto. L’ennesimo. E LeBron non è il solo a essersi schierato. Negli USA, attori, scrittori, cantanti, sportivi e altri cestisti come Kobe Bryant e Stephen Curry, in questi mesi, hanno messo in atto gesti forti, eclatanti, di protesta contro razzismo e discriminazione, in un Paese che oggi ne è nuovamente colmo.

L’America è quella di Trump, delle armi facili, delle politiche sporche della Cia, delle azioni a sostegno di Israele, dell’emarginazione, ma è altrettanto vero che, per fortuna, è anche quella delle lotte per l’uguaglianza e contro il razzismo, dei movimenti per i diritti dell’uomo, delle prese di posizione coraggiose. Osservando la determinazione di LeBron James, campione che ha vinto tutto quello che c’era da vincere, viene quasi automatico pensare a noi, volgere lo sguardo verso i confini di casa nostra. L’Italia, una nazione nella quale la discriminazione verso i cittadini stranieri o di origine straniera è all’ordine del giorno. La polizia non spara a chi ha la pelle nera, ma certo i migranti non vivono condizioni e situazioni facili.

Un Paese nel quale ci si onora di aver consentito il massacro di migliaia di persone nei centri di detenzione di quella Libia con la quale si è stretto un accordo infame. L’Italia che si applaude da sola per i salvataggi in mare, dimenticando i respingimenti, gli ostacoli assurdi alle Ong, le campagne diffamatorie nei loro confronti, ma soprattutto la morte nel Mediterraneo, l’11 ottobre 2013, di oltre duecento migranti, tra cui sessanta bambini, a causa della presunta inerzia delle nostre autorità militari, che avrebbero negato il soccorso in mare per uno stupido braccio di ferro con la Marina maltese. L’Italia dello sfruttamento, delle aggressioni razziali, dell’estrema destra riesumata, l’Italia di Gentiloni, Renzi, Minniti, Berlusconi, Salvini e Grillo, quella che ha nuovamente eletto a normalità la discriminazione razziale e il reato di solidarietà.

L’Italia del sindaco di Como, che punisce e multa i mendicanti e vieta ai volontari di portare cibo, bevande calde e coperte ai senza tetto. L’Italia di Belpietro e di quei pseudogiornalisti pronti a pompare odio in ogni momento. L’Italia dei silenziosi. Quella nella quale si ascolta, a parte poche eccezioni, il mutismo misero di sportivi, attori, cantanti, scrittori, artisti. E anche le eccezioni, comunque, sono solo vocine flebili che producono poco. Non un LeBron James, non un Kobe Bryant, non uno pronto a usare la propria popolarità per mostrarsi anche essere umano e non solo ricco personaggio pubblico. Non una parola contro gli orrori perpetrati in questi ultimi venti anni ai danni di migranti e stranieri dalla pelle nera o olivastra.

Nessun coraggio di prendere posizione e di affrontare le reazioni del potere e dei servi del potere, dei tifosi e dei fan in disaccordo. Poco importa se c’è chi fa beneficenza, spesso silenziosa. Non è una questione di soldi. I diritti negati non si trattano con il denaro. Non parliamo di ricoveri per senzatetto o di rifugi per cani, dove può bastare garantire pasti, un tetto e assistenza. Qui parliamo di esseri umani vessati, umiliati, emarginati e di altri spediti o lasciati in mano ad aguzzini crudeli, dentro luoghi disumani, veri e propri lager di cui siamo complici.

Abbiamo visto troppi testimonial del potere, in questi anni, troppi soldatini al servizio del re di turno. Non abbiamo visto molto spesso un Uomo o una Donna influenti urlare a schiena dritta il proprio No, sputare rabbiosamente il proprio dissenso, senza mezzi termini, in faccia a chi governa o pretende di governare il Paese rovesciando il valore del diritto e della solidarietà. Dell’umanità.

Ecco, allora, per il 2018 mi auguro che in questo Paese, tra le sfere dei personaggi popolari nel pieno senso del termine, possano esserci tanti LeBron James e possano tirar fuori la voce come fa lui, mettere in atto gesti eclatanti, infischiandosene dei fischi o degli applausi, ma pensando semplicemente a difendere con coraggio le idee universali di giustizia e ad affrontare a viso aperto chi sta riportando l’Italia nel tunnel buio del suo passato peggiore.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org

Le scarpe “polemiche” indossate da LeBron James durante la partita con i Washington Wizards.