Sono passati 25 anni dall’entrata in vigore dell’ultima legge in materia di cittadinanza. Il quadro normativo è stato completato successivamente da due decreti del Presidente della Repubblica, rispettivamente nel 1993 e nel 1994. Dopodiché black-out totale. Sì, dal 2003 in poi si sono registrati deboli tentativi di mettere in discussione una normativa che diventava via via sempre più obsoleta, ma senza mai arrivare a concretizzarsi materialmente. Peccato che nel frattempo, in questi ultimi 25 anni, la situazione dei bambini nati da genitori stranieri in Italia è completamente mutata, come anche il contesto sociale ed economico.

Ma è ovvio che una riforma della legge sulla cittadinanza (promossa tra il 2011 e il 2012 attraverso la nota campagna “L’Italia sono anch’io”, approvata finalmente, con sostanziali modifiche rispetto al testo originale, dalla Camera dei deputati nel 2015 e parcheggiata da allora in Senato) non può essere una priorità in questo momento (politico), anzi, calendarizziamola pure all’ultimo giorno nell’agenda parlamentare di quest’anno. Per ultima. In realtà la riforma della legge sulla cittadinanza non è mai stata una prerogativa per nessuna delle parti politiche, men che meno per la sinistra. E questo la dice lunga sulla capacità e la visione dei propri protagonisti, i quali utilizzano l’argomento esclusivamente a seconda di come gira il vento in prua durante gli appuntamenti elettorali.

Prima o poi, però, questa ben precisa scelta politica di evitare di gestire definitivamente la questione si trasformerà in un boomerang. Anzi, forse gli effetti si iniziano a vedere già ora. In Italia il bilancio demografico complessivo delle nascite è drammatico: anche lo scorso anno, infatti, secondo gli ultimi dati ISTAT, si è verificato un sensibile calo rispetto all’anno precedente, contemporaneamente all’aumento dei decessi. Un saldo naturale nettamente in rosso, quindi, nonostante il contributo apportato dall’immigrazione: su 473.438 bambini registrati all’anagrafe nel 2016, quasi 70.000 sono nati da entrambi i genitori stranieri.

Ma quale futuro per loro? Il nostro Paese sta invecchiando sempre di più (attualmente l’età media è di 45 anni), la popolazione diminuisce ogni anno che passa e noi con quali occhi guardiamo alle nuove generazioni, inclusi gli italiani de facto ma che non sono ancora riconosciuti come tali dalla legge?

Secondo gli ultimi dati, nell’insieme sono 800 mila i minori nati in Italia (o arrivati da piccoli) senza cittadinanza italiana. Non avere la cittadinanza del paese in cui nasci o vivi, da anni magari, è una delle più grandi frustrazioni che si possano provare. La colpa è quella di avere genitori che magari parlano l’italiano con strane inflessioni. O quella di avere la pelle olivastra e i capelli ricci. Di chiamarsi Youssef o Malak e non Francesco o Sofia. Fa niente che molti di loro la lingua d’origine neanche la conoscono.

Il 20 novembre scorso si è celebrata la Giornata Internazionale dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Anche il terzo e ultimo Rapporto supplementare del Gruppo CRC alle Nazioni Unite, che fa il punto sull’attuazione della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, sottolinea le «strumentalizzazioni cui è stata sottoposta la riforma (della legge sulla cittadinanza, ndr) in seguito a fatti di cronaca nazionale ed internazionale». Il documento parla anche di “forti discriminazioni” subite da persone di età minore e di origine straniera «prive di una legge sulla cittadinanza che le riconosca facilmente come cittadini anche quando nate o cresciute nel nostro Paese».

Viene inoltre ribadita l’urgenza di attuare una riforma legislativa «che garantisca il diritto alla registrazione per tutti i minorenni nati in Italia, indipendentemente dalla situazione amministrativa dei genitori». Perché ricordiamo che anche il testo approvato dalla Camera prevede, con effetti discriminatori, il possesso da parte di almeno uno dei genitori del permesso di soggiorno UE per il lungo periodo (il cui rilascio è legato indissolubilmente a certe condizioni tra cui la fascia di reddito). Sembra, tuttavia, che il momento di prendere seriamente in considerazione la questione della cittadinanza per i figli illegittimi di quest’iniqua Italia non arrivi mai.

La verità è che è già troppo tardi. Il dibattito (se così si può chiamare) politico è anacronistico e le posizioni e le modalità con cui viene trattato l’argomento sono vecchie e denotano soltanto un’inaudita scaltrezza. Nihil sub sole novum.

AdrenAlina -ilmegafono.org