L’Italia ha il triste merito di essere, oggi, uno dei paesi più anziani dell’Ocse, ma le prospettive sono ancora più nere. Il processo di invecchiamento della popolazione sta infatti registrando un’accelerazione. I dati riportano un trend poco incoraggiante: nel 2050, per 100 persone tra i 20 e i 64 anni, ce ne saranno 74 con oltre 65 anni (oggi sono 38 ed erano 23 nel 1980). Peggio di noi faranno solo il Giappone (con 78) e la Spagna (con 76). Un trend di sicuro prevedibile dal momento che, già dal 1990, le morti annualmente sono maggiori delle nascite.

Il World Population Prospect 2017 delle Nazioni Unite (leggi qui) prevede un calo inesorabile della popolazione italiana fino ad arrivare nel 2100 a 47,8 mln di persone, dato vicino ai 46,6 mln registrati nel 1950 prima del boom demografico per intenderci. Si fa presto allora a parlare di pensioni senza un rinnovamento e un allargamento della base contributiva. Si fa presto a parlare di aumento dell’occupazione senza garanzie. Il meccanismo di incentivo a una vita stabile e ad avere figli è una condizione necessaria.

Il vero dramma, e non lo sottolineiamo oggi, è l’invecchiamento della popolazione che, unito alle politiche migratorie miopi e alla bassissima natalità del nostro Paese, ci sta distruggendo e consumando. Dov’è il problema? Qui emergono fortissimi due temi non necessariamente in contraddizione tra loro. Da una parte quello sociale e, se vogliamo ottimista.

Come ha riportato il Foglio (clicca qui) “in Italia e in altri paesi europei c’è stata una rivoluzione culturale. Abbiamo più gadget, più auto, più vacanze, più metri quadri, ma sempre meno figli. Perché? Una delle ragioni è che i figli sono bellissimi, ma non sono economicamente convenienti. E in una società che premia ciò che è conveniente, non è una buona idea costruire una nuova famiglia. Il declino della fertilità in Italia è legato alla mancanza volontaria di figli”.

Dall’altra parte emerge un secondo tema (più pessimista) citato nel medesimo interessante pezzo del Foglio, che riporta anche le parole di un altro professore della California State, Bruce Thornton: “La democrazia sarà in pericolo durante la transizione a uno stato invecchiato. L’assistenza sociale e la redistribuzione dipende da lavoratori più giovani che pagano le imposte sui salari per finanziare la sicurezza sociale. Cosa succede quando una maggioranza di vecchi voterà per averne sempre di più, a scapito dei giovani ormai ridotti al lumicino?”.

Insomma da una parte non si vogliono figli e dall’altro lato questo mette a serio rischio l’equilibrio di un Paese. Stiamo, in altre parole, serenamente navigando verso il burrone.

Basta pensare anche soltanto all’impatto che hanno attualmente fenomeni come lo spopolamento delle montagne, delle province, al degrado che ne consegue, alla mancanza (anche fisica) e generalizzata di energie. Ne è conseguenza l’incapacità di guardare al futuro. Tutto, subito, da solo, in una spirale onanistica che poco ha a che fare con la nostra tradizione cattolica di noi e di futuro.

E forse è proprio la religione (assieme, ma in misura necessariamente inferiore, alla comunità che creavano le tantissime piccole realtà locali, dai bar alle case del popolo) uno dei tasselli che manca come spina dorsale di questo Paese giovane e culturalmente forse mai diventato moderno. Che di fronte alla modernità e al dinamismo si trova indifeso e imbambolato.

Una “generazione di sconvolti che non han più santi né eroi”, come canta Vasco Rossi, e che rischia di ritrovarsi vecchia, sola e abbandonata.

Penna Bianca -ilmegafono.org