Se c’è una cosa che riesce facile questa settimana è sicuramente scrivere delle primarie del Movimento 5 Stelle. Otto candidati per una poltrona, anzi, 7 carneadi e un Di Maio. Il giovanotto non ancora trentenne è l’unico personaggio, nella rosa dei candidati, ad avere una risonanza mediatica e un carisma (qualità fondamentali per l’uomo qualunque moderno) tali da consentirgli di vincere. Diremmo pure che è l’unico candidato, mentre gli altri sono meri comprimari. E queste primarie sembrano più un esercizio di stile o un passaggio obbligato che una cosa seria. Nessun dibattito, nessun coinvolgimento (riservate agli iscritti, come anche quelle del Pd), eppure determinanti, visti i numeri dei sondaggi.

È facile scriverne e molti ne hanno scritto perché di questo movimento si parla quasi sempre saltuariamente. Non c’è una ricerca assidua o un monitoraggio che legittimi a dire qualcosa, ancorché di interessante, e il livello delle opinioni a riguardo vola ben sopra la soglia di superficialità. La schiera dei “ve l’avevo detto” è vasta. Ovunque Soloni che si compiacciono di aver scoperto per primi le falle del nuovo sistema. Dall’altro lato, invece, la difensiva.

Troppo facile suonare tronfi il requiem se non si vuole vedere i problemi in casa propria. Suona, per esempio, la carica Matteo Salvini, che se la prende con i click dei 5 stelle e rivendica l’originalità delle poco lodevoli posizioni sull’immigrazione. Si difende Toninelli, nel corso di “Piazza Pulita” dicendo che non ci sono correnti all’interno del movimento. Solito giro di giostra, insomma, per scegliere l’etichetta da apporre sulla situazione contingente, per poi tornare a poltrire.

Eppure di curiosità da soddisfare su questo polverone ce ne sono molte in giro. Primo: il down della piattaforma Rousseau per esprimere il voto (chissà cosa sarebbe successo se fosse stata la volta di decisioni importanti per tutto il Paese…). Secondo: lo strapotere, a questo punto, dell’unico uomo delle istituzioni dei 5 stelle. Ci saranno altri tentativi di approccio a intellettuali di prestigio (come fu Rodotà)? Che ruolo avranno gli altri principi?
Terzo: il ruolo di Grillo e Casaleggio jr. nella scelta del governo. Con un Di Maio premier, il terzo è indubbiamente incomodo e il triumvirato in passato non sempre è andato bene.

Interessante l’intervista a Marco Travaglio su affariitaliani.it, dove il giornalista si mostra molto critico e quasi imbronciato nel fatto che qualcuno gli abbia usurpato l’idea del legalismo sfrenato. Ognuno ne tragga le conseguenze che ritiene, è interessante e ne vedremo delle belle.

Di certo il movimento non può permettersi di presentare al mondo delle correnti, perché il rischio di annacquare il messaggio di fondo “noi siamo gli unici e i migliori” rischia di essere “disperso”. Il vulnus cruciale, quello che dà ragione ai Soloni, è che non si può parlare di democrazia diretta e ammorbare con una fastidiosa presunzione gli astanti se poi ci si comporta esattamente come gli altri partiti o forse pure peggio (inadeguatezza della piattaforma di voto, candidati non candidati, pressapochismo).

Perché democrazia significa certamente che vince la maggioranza, ma non che la minoranza non esista. Pretendere che non ci siano correnti e non ci sia dissenso, infatti, è stato esattamente il problema del renzismo. Certo ci vorrebbe un po’ di quella politica vituperata per capirlo. Quindi tanti auguri a Di Maio e buon lavoro se sarà, come sembra probabile, il nostro prossimo presidente del consiglio.

PennaBianca -ilmegafono.org