A tre anni dalla sua offensiva terroristica, il gruppo jihadista dello Stato islamico (Is) sembra ormai vicino alla sconfitta militare, in Siria, ma soprattutto in Iraq, dove sono solo due i territori rimasti in mano ai militanti estremisti. Nei prossimi giorni, le forze di sicurezza irachene lanceranno l’operazione per riprendere il controllo del distretto di Hawija, nella provincia irachena di Kirkuk, per poi iniziare una nuova offensiva ad al Qaim, nella provincia occidentale dell’Anbar. Una volta recuperati i due territori, le autorità irachene potranno dire di aver sconfitto lo Stato islamico nel paese. In Siria la situazione è più complessa, perché il conflitto interno al paese si sviluppa su più fronti e contiene al suo interno “guerre parallele” in cui lo Stato islamico non è coinvolto.

Nelle ultime settimane, le forze fedeli al presidente Bashar al Assad sono riuscite a rompere l’assedio del gruppo jihadista, guidato dal sedicente califfo Abu Bakr al Baghdadi, sulla città di Deir ez-Zor, situata in una posizione strategica nella parte orientale del paese. Lo Stato islamico sta perdendo anche Raqqa, sua autoproclamata capitale nel nord della Siria, dove però a combatterlo ci sono i curdi delle milizie Ypg (Unità di protezione del popolo), sostenute dagli Usa.

Se però l’Is soffre sul campo militare in Siria e in Iraq, non perde ancora le sue fonti di finanziamento. Secondo analisti della Cia e delle intelligence di mezzo mondo, in questi anni il traffico di droga ha portato nelle casse del gruppo terroristico miliardi di dollari. E se è facile e redditizio per i jihadisti gestire il cartello, molto più difficile è fermare il flusso per gli inquirenti. Per chi indaga è infatti praticamente impossibile risalire all’intestatario di una società in paesi come Emirati o Libia, dove questi signori della droga fanno i loro affari.

Lo Stato islamico continua anche a fare proseliti sul web e tra i giovani europei, come dimostrano i recenti attentati nel Regno Unito e in Spagna, che qualcuno considera come “il colpo di coda” del jihadismo. La rete internet è un potente mezzo di radicalizzazione per il gruppo jihadista e il vero timore ora è che, nei paesi in cui la sua ideologia ha più attecchito, in Siria o in Iraq, possa risorgere ancora sotto altre forme. Insomma, dopo le sofferenze e le brutalità della guerra, per queste nazioni devastate inizia ora una strada ancora più in salita. Bisognerà infatti ricomporre i pezzi dopo anni di divisioni e lacerazioni che ancora sono molto forti.

In Iraq, dove ormai l’Is è praticamente sconfitto, ci sono ancora centinaia di migliaia di sfollati in attesa di tornare nelle proprie case. Molte sono state distrutte, soprattutto a Mosul, la ormai ex capitale del califfato nel nord dell’Iraq. Ma le opere di ricostruzione non riguardano solo gli edifici e le strade. Gli iracheni, con l’aiuto se possibile della comunità internazionale, dovranno ricostruire la loro nazione. Dovranno forse lasciarsi alle spalle decenni di guerre e di odi settari, ripartire dal dialogo e dalla tolleranza. Ma non sarà facile. Nel paese sono rimaste molte famiglie dei jihadisti che in questi anni hanno seminato il terrore.

Ci sono minori cresciuti sotto il terrore e addestrati ad uccidere che dovranno tornare ad una vita “normale”. Ci sono le vedove, e i familiari di persone vittime dell’Is che ancora non sono riuscite nemmeno a seppellire. Certo è che il ricordo delle atrocità dello Stato islamico e del terrore sistematico applicato in tutti i territori sotto il loro controllo, potrà servire da monito ad una ricostruzione “pacifica e duratura” del paese che possa tenere insieme tutte le sue anime etniche, religiose e culturali.

Il prossimo anno in Iraq ci saranno le elezioni politiche e l’auspicio di tutti è che possano tenersi in un contesto di relativa “pacificazione”. Una nuova incognita, dopo la sconfitta di Daesh (acronimo arabo per lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante), è rappresentata però dal referendum sull’indipendenza della regione autonoma del Kurdistan, convocato per il prossimo 25 settembre. Dopo averlo minacciato per anni, le autorità regionali hanno fissato una data per la consultazione che chiamerà i cittadini a votare per la separazione da Baghdad. Il rischio è che una eventuale indipendenza dei curdi iracheni possa alimentare nuove forme di instabilità in tutta la regione.

G.L. -ilmegafono.org