Sono ore calde quelle che ci accompagnano verso la seconda metà dell’estate e non è un caso se proprio con questo numero, l’ultimo prima della pausa, abbiamo deciso di dedicarci alla memoria, ricordando due tra le figure più importanti nella storia della lotta alla mafia. Non è un caso perché, anche in quegli anni in cui questi due uomini di Stato hanno vissuto e lottato, l’estate diventava, per il nostro Paese, un momento caldo e drammatico, quello della mattanza di magistrati, poliziotti, commercianti, giornalisti e semplici cittadini.

Possiamo dire che i mesi estivi nel periodo tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘90 sono stati i momenti più tragici e difficili per l’Italia e, nello specifico, per la Sicilia.

Oggi, come accennato, vogliamo pertanto ricordare Boris Giuliano, capo della Squadra mobile di Palermo, e Ninni Cassarà, capo della sezione investigativa della stessa Squadra mobile. E attraverso loro tutti i poliziotti e carabinieri, a partire da Beppe Montana, uccisi dalla ferocia dei clan di mafia. Giuliano e Cassarà sono due simboli. Due uomini diversi, in due periodi diversi, eppure due vite e due destini così tristemente uniti da un unico filo conduttore: la lotta a cosa nostra. Entrambi, infatti, sono passati alla storia per la loro caparbietà, l’astuzia e l’abilità nell’organizzazione e nella realizzazione dei colpi inferti alla criminalità in una Palermo martoriata dagli omicidi e dalla violenza della mafia. Entrambi sono stati uccisi d’estate, uno a fine luglio e l’altro a inizio agosto.

Boris Giuliano venne ucciso il 21 luglio 1979, a Palermo, dal mafioso Leoluca Bagarella. Un omicidio che più infame non potrebbe essere, dato che il poliziotto venne attaccato alle spalle, inerme e indifeso, senza che potesse neppure reagire. In quegli anni, Giuliano aveva permesso agli inquirenti di fare passi da gigante nella lotta alla mafia, grazie a delle indagini che fecero emergere una realtà fino ad allora poco conosciuta: la Mobile da lui diretta, infatti, fu la prima a fare piena luce sul commercio della droga che interessava le famiglie palermitane e quelle americane.

Fu grazie alle sue intuizioni che si scoprì come la mafia acquistasse la droga dalla Svizzera per poi raffinarla in Sicilia e rivenderla in Europa e, soprattutto, negli Stati Uniti. Tra i successi diventati simbolo dell’abilità e del fiuto di questo grande poliziotto, si ricordano il ritrovamento della borsetta con 500.000 dollari all’aeroporto di Palermo (con cui le cosche americane avrebbero pagato quelle siciliane) e la scoperta di una partita di eroina del valore di miliardi di lire all’aeroporto J.F. Kennedy di New York.

Boris Giuliano, insomma, fu senz’altro un poliziotto e, prima di tutto, un uomo che, grazie al proprio amore per la giustizia e la verità, diede prova di grande intelligenza e coraggio, contribuendo ad ampliare e a perfezionare notevolmente la conoscenza di cosa nostra e della sua struttura (fu, tra l’altro, il primo a dar vita ad una vera e propria mappatura delle cosche palermitane). Per tale ragione, magistrati del calibro di Paolo Borsellino vollero riconoscere l’abilità di un uomo preparato e acuto come Giuliano.

In un suo rapporto nell’ambito del maxi-processo, Borsellino scrisse infatti che bisognava lodare la grande abilità investigativa di Giuliano perché “quanto faticosamente emerso solo adesso (a metà degli anni ‘80, ndr) era stato da lui esattamente intuito ed inquadrato diversi anni prima”. Borsellino aggiunse, inoltre, che “se altri organismi statali avessero adeguatamente compreso e assecondato l’intelligente impegno di Giuliano, probabilmente le strutture organizzative della mafia non si sarebbero così enormemente potenziate e molti efferati assassinii, compreso quello dello stesso Giuliano, non sarebbero stati consumati”.

Non da meno fu certamente Ninni Cassarà, ucciso anch’egli dalla mafia il 6 agosto 1985, con un attentato realizzato nei pressi della propria abitazione e davanti agli occhi atterriti della moglie e della figlia. Un’operazione militare vera e propria, con nove uomini appostati che aprirono il fuoco, uccidendo anche l’agente Roberto Antiochia, mentre un altro agente, Natale Mondo, riuscirà a ripararsi e a rimanere illeso (ma verrà assassinato tre anni dopo).

Ninni Cassarà, alla stregua di Giuliano, aveva portato un’aria nuova all’interno della Polizia palermitana, introducendo quello che è noto come il “lavoro di squadra”. Cassarà riuscì infatti a far sì che il proprio team lavorasse sempre all’unisono e con un unico obiettivo: l’annientamento della mafia. Un’utopia (ahimè) che Cassarà stava cercando di far diventare realtà grazie a delle operazioni importanti: tra tutte, la famosa “Pizza Connection”, in collaborazione con il commissario dei Carabinieri, Beppe Montana (altro valoroso uomo dello Stato, ucciso il 28 luglio di quello stesso anno), e le forze investigative statunitensi, in merito alla “connessione”, appunto, tra le cosche del Vecchio e del Nuovo continente.

Non solo: Cassarà fu un elemento importante anche nella realizzazione del famoso maxi-processo nei confronti di cosa nostra e collaborò in maniera stretta con Falcone e con l’intero pool antimafia. Proprio con Falcone, infatti, Cassarà diede il via a quelle indagini, completate poi negli anni successivi, incentrate sulla “via dei soldi” mafiosa che tanto aveva ingrossato le casse della criminalità siciliana.

Insomma, a conclusione di un anno lungo e faticoso e dopo le tante parole su Falcone e Borsellino, abbiamo sentito il dovere di ricordare anche l’onore e il coraggio di due uomini, funzionari dello Stato, che alla legalità e alla giustizia credevano davvero e che, nonostante le avversità, hanno svolto il proprio compito sino alla fine. Esempi che vanno sempre tenuti vivi, scrivendo e raccontando di loro, della loro lotta per chi, come noi, avrebbe vissuto dopo di loro e per chiunque avesse voluto continuarne il lavoro.

Giovanni Dato -ilmegafono.org