“È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. In deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista”. (XII disposizione transitoria, Costituzione della Repubblica Italiana).

L’irruzione fascista degli squadristi di Casa Pound all’interno del Comune di Milano e gli scontri in Piazza della Scala di giovedì 29 giugno impongono una riflessione cui non è possibile sottrarsi. Impossibile non chiedersi perché ancora oggi il fascismo sia una minaccia reale per la Democrazia. E allora facciamo un passo indietro, necessario per capire come la pagina fascista in Italia non sia mai stata chiusa.

Potremmo discutere a lungo sui tanti limiti dell’amnistia, scritta da Palmiro Togliatti ministro della Giustizia del primo governo De Gasperi e varata nel giugno del 1946. Troppe le possibilità d’interpretazione che quella legge consentiva a una magistratura composta di giudici e magistrati la cui carriera si era formata negli anni del ventennio fascista. Quell’amnistia consentì a tanti gerarchi fascisti di uscire indenni dalla loro storia. Alcuni nomi: Giorgio Almirante (segretario di redazione dal settembre 1938 della rivista “La Difesa della Razza”, promulgatore e firmatario nel 1938 delle leggi razziali in Italia), Pino Romualdi (vicesegretario del Partito Fascista della Repubblica di Salò) e Arturo Michelini (vice federale di Roma).

Importante ricordare questi nomi, perché il 26 dicembre 1946 nasce il Movimento Sociale Italiano (MSI) e fra i suoi fondatori troviamo i reduci del ventennio fascista e della Repubblica Sociale Italiana, come appunto Almirante, Romualdi e Michelini. Da quel giorno il ragno fascista riprende a tessere la sua tela e, nell’estate del 1960, si scoprono le prime carte. Sono i giorni del governo Tambroni, che si regge sull’appoggio fondamentale del Movimento Sociale e dei monarchici.

Genova, città Partigiana e Medaglia d’oro per la Resistenza, viene scelta come sede del congresso del Partito di Almirante, Romualdi e Michelini. E per presiedere quel congresso si sceglie un nome ben noto a Genova: Emanuele Basile, ex prefetto repubblichino e responsabile della deportazione degli antifascisti e degli operai genovesi in Germania.  Genova non può restare indifferente e insorge, quei giorni sono il primo gesto di ribellione di una generazione che sarà ricordata come quella dei “ragazzi con le magliette a righe”.

Sono settimane dure, l’apice di quelle violenze si tocca a Reggio Emilia il 7 luglio e, in quelle strade, si conteranno i morti uccisi dalle pallottole della polizia e dei carabinieri. I loro nomi sono ancora impressi nel cuore e nella memoria: Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Marino Serri, Afro Tondelli e Emilio Reverberi. Alcuni anni più tardi, il processo per quella strage si concluderà con assoluzione piena sia nei confronti del vicequestore Giulio Cafari Panico, che guidava l’operazione di polizia, che dell’agente accusato di omicidio volontario per aver sparato contro Afro Tondelli.

Che cosa cambiò dopo quei giorni? Nella forma qualcosa sembrava cambiare con l’arrivo dei governi di centro-sinistra, ma nella sostanza il fascismo italiano, o il neo-fascismo per usare il linguaggio di moda ancora oggi, entrava in ogni stanza del potere e delle istituzioni. Trovava porte aperte nei servizi segreti, nelle forze armate e nelle forze dell’ordine, nelle istituzioni locali e nazionali, nel mondo dell’informazione. Gli anni ‘60 corrono e l’Italia conosce la “Strategia della tensione”: il primo segnale arriva da Milano con la strage di Piazza Fontana.

Chi era a capo della Questura di Milano in quegli anni? Era il signor Marcello Guida, vice-commissario del Corpo di pubblica sicurezza nel ventennio fascista, Divisione affari generali e riservati, Ufficio confino politico, nel 1937 nominato vice direttore della colonia penale di Ponza, nel 1939 della colonia di confino politico di Ventotene e poi direttore. Anche lui un miracolato dalla famosa amnistia. Significativo e bellissimo il gesto di Sandro Pertini, comandante partigiano e in quel tempo presidente della Camera dei Deputati, che a Milano, in visita ufficiale, incontrando il questore Marcello Guida si rifiutò pubblicamente di stringergli la mano, ricordandogli il suo passato.

Il questore Marcello Guida userà ogni mezzo per depistare le indagini sulla strage e per indirizzare tutta l’attenzione mediatica e giudiziaria verso il mondo degli Anarchici. La storia dimostrerà la matrice fascista della strage, ma i tribunali dello Stato la lasceranno impunita per sempre. Si va avanti e si arriva alla notte del 7 dicembre 1970: è la notte del tentativo di Colpo di Stato, il Golpe Borghese.

Gli italiani ne verranno a conoscenza solo nel marzo 1971, grazie al quotidiano “Paese Sera” che ne rivela il fallito tentativo. Chi era la mente di quel tentativo? Era Junio Valerio Borghese, il “principe nero”, ex ufficiale di Marina durante la Seconda Guerra, repubblichino di Salò e comandante della Decima MAS. Si va avanti ancora e le stragi continuano: da Piazza della Loggia a Brescia, alla stazione di Bologna. I servizi segreti sono sempre attori protagonisti e nelle loro fila la presenza fascista è una costante, una presenza di cui lo Stato non vuole fare a meno.

Il 28 giugno 1972 la procura della Repubblica di Milano chiede alla Camera l’autorizzazione a procedere nei confronti di Giorgio Almirante, segretario del MSI-DN, per il reato di ricostituzione del disciolto partito fascista. Il 24 maggio 1973 la Camera concede l’autorizzazione a procedere con 484 voti contro 60. L’inchiesta viene trasferita a Roma e mai portata a termine. Sempre nell’estate del 1970 l’Italia assiste alla rivolta di Reggio Calabria, dove il Movimento Sociale assume un ruolo di primo piano, guidato da Ciccio Franco, esponente missino e sindacalista della CISNAL. È la stagione del “boia chi molla”, antisemita e fascista.

La stagione della strategia della tensione e delle stragi fasciste e di Stato è lunga, servirebbero decine di pagine per raccontarla. Arriviamo allora ai giorni nostri e al pericolo fascista che troppi “sciocchi”, o complici, sottovalutano. A ognuno le proprie responsabilità: istituzioni, partiti, informazione e cittadini. E le responsabilità sono davvero tante. Oggi il Movimento Sociale Italiano non esiste più come partito, esistono gli eredi di quella stagione di ricostituzione del fascismo. Oggi quella bandiera è portata avanti da Forza Nuova, da Casa Pound e da altri movimenti con l’arroganza e la violenza che ricorda la notte del Novecento.

Ma chi ha permesso, o non ostacolato, la nascita e lo sviluppo di un movimento apertamente fascista, legittimandolo? Chi non ha mai sentito il dovere di intervenire con la forza del diritto per impedire questo sviluppo? Quando prefetture e questure autorizzano l’uso di piazze e palazzi dello sport a chi non nasconde la propria identità fascista fatta di slogan, svastiche e saluti romani, cosa significa? Significa legittimazione e quando si legittima si è colpevoli e conniventi. Ecco perché penso che lo Stato italiano non abbia mai messo in pratica l’antifascismo, ignorando così anche la nostra Costituzione.

L’antifascismo è stato lasciato sulle spalle dei semplici cittadini e dei militanti antifascisti, di chi ha scelto di essere Partigiano nella vita sempre (come diceva Antonio Gramsci).  Lo Stato, tranne lodevoli e straordinarie storie personali, ha sempre girato la testa dall’altra parte. Anche per questo si arriva alla vergognosa pagina di Milano, con gli squadristi fascisti che irrompono nell’aula consiliare senza trovare al loro ingresso alcuna opposizione da parte della Polizia Municipale e delle forze dell’ordine. L’Antifascismo è un dovere a cui non ci si può sottrarre in nome della governabilità di un Paese e di una città, l’Antifascismo è un valore imprescindibile per qualunque democrazia. Ricordiamolo e mettiamolo in atto.

Maurizio Anelli (Sonda.life) – ilmegafono.org