Su queste pagine abbiamo raccontato spesso le storie di numerose vittime di mafia e lo abbiamo fatto cercando sempre di porre l’attenzione sulla memoria dei fatti e dei contesti in cui essi sono maturati, oltre che sull’impegno che queste persone hanno mostrato nel dire no alle logiche e alla violenza delle mafie. Magistrati, uomini e donne delle forze dell’ordine, giornalisti, imprenditori, politici, sacerdoti, semplici cittadini: gente che ha contribuito, fino all’estremo sacrificio, alla lotta finalizzata alla costruzione di una cultura antimafiosa che ha prodotto, negli anni, risultati e cambiamenti importanti.

Questa volta, però, la persona di cui vogliamo parlare non ha direttamente lottato contro la mafia, ma se l’è ugualmente trovata sulla sua strada. Fatalmente. A dimostrazione che il fenomeno criminale ci riguarda tutti, ogni giorno. Peter Iwule Onyedeke era solo un ragazzo pieno di sogni. Non è mai stato al centro di trame mafiose (o di battaglie antimafiose); il giovane nigeriano di 33 anni, assassinato a Reggio Calabria nel 1995, è risultato sin da subito estraneo ad ogni intreccio criminale e la sua morte, ancora oggi, non ha né una spiegazione chiara né un colpevole.

Peter era uno studente di architettura prossimo alla laurea (mancavano solo quattro materie) e, già da diversi anni, viveva in Italia, a Reggio Calabria, dove condivideva un appartamento con il fratello. Dalle cronache dell’epoca è emerso che il ragazzo della provincia di Mbano, a sud della Nigeria, per mantenersi lavorava come aiutante presso un mobilificio della periferia reggina e, solo due giorni prima dell’omicidio, aveva anche iniziato a posizionarsi davanti alla discoteca di Gallico Marina, “Il Limoneto”, dove aveva iniziato a fare il posteggiatore abusivo. Chiedeva qualche spicciolo, senza arroganza, solo per arrotondare.

Insomma, cercava di andare avanti, di continuare a studiare. Aveva scelto una piccola attività non regolare, quella di parcheggiatore, che svolgeva, nelle ore libere dal lavoro e dallo studio, in modo pacifico, senza minacce o arroganza: era solo un modo per sopravvivere nella speranza di realizzare i propri sogni.

Una speranza che, purtroppo, si è spenta il 25 giugno 1995 quando, in seguito alla richiesta di qualche spicciolo per il parcheggio, dei balordi all’interno di un auto avrebbero iniziato a sparare diversi colpi di pistola (per dimostrare che alla ‘ndrangheta non bisogna chiedere nulla, che la ‘ndrangheta comanda), lasciando Peter Iwule Onyedeke senza vita in una pozza di sangue.

A distanza di ben 22 anni, la soluzione a quel triste omicidio non è ancora stata trovata ed è difficile che in futuro tutto ciò possa accadere. Perché Peter, bisogna ricordarlo, era “soltanto” uno straniero (per di più nero). Un posteggiatore abusivo nigeriano che ha osato chiedere 1000 lire a dei mafiosi. Figuriamoci chi si preoccuperà di rendergli giustizia in questo Paese.

Quel che però dovrebbe far riflettere è il futile motivo per cui una banda di criminali avrebbe deciso di sparare intenzionalmente, premeditando l’agguato. Chi e cosa si nascondeva, effettivamente, dietro questo orribile attacco? È stato davvero soltanto un gesto di prepotenza finito in tragedia? O, in una fase nella quale il razzismo e la delinquenza avevano già costruito un drammatico precedente, quello del rifugiato Jerry Masslo, nel 1989, a Villa Literno (Caserta), lo sgarbo involontario compiuto da un nero doveva essere punito con la morte?

Qualsiasi siano le risposte a tali quesiti, oggi, dopo tanti anni, abbiamo voluto ricordare l’ennesima persona onesta vittima di una criminalità che non risparmia nessuno e che non accetta chi alza la testa e tiene la schiena dritta. Abbiamo voluto ricordare questo caso di cronaca sconosciuto ai più e finito tristemente nel dimenticatoio generale, un oblio pieno di omicidi irrisolti e di innocenti senza giustizia. Compresi molti stranieri.

Peter (è bene sottolinearlo) non è l’unico straniero ad essersi scontrato con la prepotenza mafiosa: da Nord a Sud, compresa la Calabria (Rosarno è solo uno dei casi più noti), cittadini africani e migliaia di altri immigrati vengono giornalmente sfruttati sino allo sfinimento subendo quello che, a conti fatti, è un agguato alla dignità dell’essere umano. La differenza è che a Reggio Calabria, nel 1995, la gente scese in piazza per protestare contro gli assassini di Peter Iwule Onyedeke e il Comune di Reggio Calabria intervenne con un contributo per permettere la restituzione delle spoglie di Peter ai suoi familiari.

Oggi, cosa accadrebbe? Quanto silenzio e, soprattutto, quanti messaggi razzisti e orrendi circonderebbero una vicenda simile? Possiamo solo immaginarlo. Ed è anche per combattere tutto questo che abbiamo scelto di raccontarvi questa storia e di offrirla alla memoria collettiva. Nel nome di Peter e dei suoi sogni spezzati.

Giovanni Dato -ilmegafono.org