“Il PIL, la ricchezza misurata in consumo”: così scriveva Jovanotti nella sua canzone Salvami, che metteva in discussione questo indicatore. Ma non è solo questione di cantanti e musicisti… Le critiche al PIL, infatti, non sono nuove nemmeno nel mondo della finanza. Ma se a dirlo è la ministra finlandese dei trasporti, Anne Berner, allora la critica assume un sapore diverso da quello naif a cui, di solito, paiono destinati ragionamenti di questo genere.

Dichiara infatti il ministro, in una intervista a La Stampa: “L’Independent Review of Economic Statistic della Gran Bretagna, paese al quale mi sento molto vicina, spiega bene che i vecchi parametri di misura non sono più validi. Non fanno riferimento al benessere, al lavoro casalingo e alle attività non registrate dal mercato. Non identificano le disuguaglianze e neppure la sostenibilità ambientale e finanziaria. E non sono in grado di dare valore all’economia digitale, che invece è decisiva”.

La prospettiva è interessante e merita un approfondimento. Ma prima di tutto una precisazione. Calmate infatti i bollenti spiriti rivoluzionari. Il ministro parla di disuguaglianze ma anche della necessità di dover tenere conto soprattutto dell’economia digitale. Non parte cioè da una prospettiva, se volete romantica, come quella del Bhutan, che ha individuato un nuovo indice, la Felicità Interna Lorda, di benessere.

Da buona nordeuropea, la responsabile del dicastero economico finlandese, pare infatti interessata più a una misura tecnicamente più inclusiva anche di altri aspetti del capitalismo moderno, che a un ripensamento a tutto tondo del sistema. In particolare sostiene l’economia digitale, la sua centralità a tutti i costi per il nostro futuro (con buona pace di privacy e della vostra paura di hackeraggio).

Ma il punto di vista è interessante proprio per questo, perché non parte dalla prospettiva, pregna di spirito sterile tipicamente nostrano, di eliminare il dato anziché il problema.

Piuttosto dobbiamo ripensare la centralità che affidiamo a questo strumento e iniziare a vederlo per quello che effettivamente è, senza idealizzazioni: cioè un buon punto di partenza. Se da una parte è utile misurare la produzione di beni e servizi di un Paese, dall’altro occorre leggere questo dato insieme ad altri (importazioni, esportazioni, indebitamento etc.). Il motivo è semplice: i numeri non mentono ma bisogna fargli la domanda giusta.

Il concetto è banale ma pare ignorato in politica economica. Si parla solo di crescita e contro la recessione, ma cosa ne è del vero benessere di una nazione? Il problema del PIL non è il PIL in quanto tale, ma l’uso che se ne fa, un po’ come le armi negli Stati Uniti. In particolare il rapporto deficit su PIL, che rientra nei parametri economici obbligatori per i paesi europei, andrebbe ripensato oppure non utilizzato come unico faro di comunicazione a livello economico tra Paesi.

Per una storia breve e utile del dibattito sul tema rimandiamo a un agilissimo articolo del Sole24ore (leggi qui).

Penna Bianca -ilmegafono.org