Il terrorismo è un male che si compie in un attimo. È un maledetto istante, il rumore metallico di un grilletto, il sordo boato di un’esplosione, il sibilo di una lama o il rombo di un veicolo che si lancia sulla folla. Il terrorismo è dannatamente vigliacco, perché sulla vigliaccheria fonda il suo successo. Ma il modo in cui affrontiamo quel terrore è lo specchio di quello che siamo noi, da questa parte, con la nostra ipocrisia, gli egoismi che pervadono il nostro pensiero e il nostro sguardo sul mondo, che poi diventano spesso l’alibi di chi decide di riempirlo di terrore.

Non avremo pace fino a quando confonderemo i contorni per costruire paure irrazionali, bersagli incolpevoli, etichette discriminatorie. Non avremo speranza fino a quando lasceremo che il dolore sia misurato con le cifre dell’appartenenza. L’agguato compiuto a Londra, qualche giorno fa, da un cittadino britannico contro una moschea della città, ci dà il senso di quanto non sia solo il terrorismo a generare follia. Da quando c’è stato l’attentato di matrice jihadista a London Bridge, gli atti di violenza contro cittadini musulmani sono aumentati del 500%, l’intolleranza è divenuta un impasto fatale e irrazionale di paura e razzismo.

Questo impasto, ben maneggiato dalle forze estremiste e xenofobe di cui l’Europa è piena, dà forma e coraggio agli esecutori dell’odio, fino alle estreme conseguenze. L’attacco alla moschea è solo il caso più recente ed eclatante. Un atto identico a quelli compiuti dagli stessi terroristi di matrice “islamica” contro cui si combatte. Stessa vigliaccheria, stesso metodo. Stesso fine: uccidere persone innocenti, colpite solo perché parte di una nazione governata dal potere nemico.

Non importa che si tratti di persone comuni che con quel potere non c’entrano alcunché, uomini e donne che vivono la loro vita, con i sogni, le difficoltà, le ansie, le paure, le gioie, le storie quotidiane. Gente comune, lontana dalle dinamiche dei governi, dai bracci di ferro tra le potenze, dai movimenti dei servizi di intelligence. Ecco, in questo, non c’è differenza alcuna tra uno jihadista e un simpatizzante di estrema destra che noleggia un furgone e si lancia contro una folla di persone che si trovano davanti a una moschea. C’è invece molta differenza tra i benpensanti occidentali e le comunità musulmane britanniche nella gestione del “dopo”. Perché quelli che noi, indebitamente, continuiamo a considerare “loro”, ci hanno impartito una lezione enorme.

Quando l’uomo che si era lanciato sulla folla, urlando contro gli islamici, è stato acciuffato dai passanti, l’imam e gli altri fedeli lo hanno salvato dal linciaggio. Lo hanno protetto per consegnarlo alla polizia. Allo stesso modo, ben duecento imam inglesi, poche settimane prima, si erano rifiutati di svolgere i funerali per i terroristi protagonisti delle stragi di Manchester e Londra, prendendo posizione netta contro gli atti da loro compiuti, definiti contrari ai principi dell’Islam, che è una religione di pace. Adesso giriamo lo specchio dall’altra parte, verso di noi.

Lasciamo perdere quel che accadrebbe a un terrorista se venisse acchiappato dalla folla dopo aver compiuto un attentato, perché non possiamo prevedere con certezza come finirebbe. Di sicuro però sappiamo, perché lo abbiamo visto, cosa accade quando le vittime del terrore sono “gli altri”, sono “loro”. Non ho visto né sentito una parola di condanna o cordoglio, un post, un #jesuis. Nulla. Non ho visto messaggi dei capi di Stato alle comunità musulmane di Londra. Semplicemente ce ne siamo sbattuti.

Una persona è morta e una decina sono rimaste ferite. E noi in silenzio. Non per indifferenza, attenzione, ma per razzismo. Se, infatti, l’attentatore britannico, durante la sua folle corsa, il suo odio contro l’Islam lo ha urlato, noi il nostro razzismo lo abbiamo subdolamente espresso con il silenzio. Fatta eccezione per i soliti imbecilli, che non hanno perso tempo per vomitare le solite idiozie, parlando di leggi del taglione che non hanno senso. Perché non ha senso nulla nel nostro attuale modo di vedere il mondo e le sue dinamiche. Commettiamo sempre gli stessi errori, cambiano solo i bersagli.

Mostriamo il nostro odio verso chi non è colpevole ma ugualmente e doppiamente vittima. Fisicamente e culturalmente. Vittima del terrorismo, a cominciare da quello cosiddetto islamico, che ha ucciso centinaia di musulmani in Medio Oriente, in Africa e in Europa con i propri attentati e le proprie azioni vigliacche. Vittima, inoltre, delle etichette, delle discriminazioni, della logica del capro espiatorio per la quale un popolo intero viene considerato responsabile di azioni con le quali non c’entra affatto e che anzi vanno contro se stesso.

Ci siamo passati anche noi siciliani. Quando gli altri, dal nord, commemoravano Falcone e Borsellino e poi, un attimo dopo, affermavano che noi siciliani eravamo tutti mafiosi, dimenticando però che eravamo gli unici ad essersi ribellati e dimenticando, soprattutto, che Falcone e Borsellino erano nati a Palermo e non a Bolzano. La memoria purtroppo, in Italia, è merce rara. E questa assenza di memoria, come il sonno della ragione da cui discende, genera mostri e silenzi indecenti.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org