Negli ultimi anni la Cina ha fatto molti passi avanti per quanto riguarda la salvaguardia dell’ambiente. Tra i vari progetti portati avanti vi sono sicuramente quelli di riforestazione, come quello della Grande Muraglia Verde e del Grain for Green Program. In un Paese sovrastato dall’inquinamento e dall’urbanizzazione, questi non possono che essere degli ottimi segnali del cambiamento di marcia che si sta attuando. Ma forse la corsa al verde sta diventando così frenetica da non avere nemmeno la pazienza di aspettare che gli alberi e le foreste crescano naturalmente.

Da diverso tempo, infatti, si continua ad estirpare alberi dai loro habitat naturali senza alcun problema per poi trasferirli in nuovi quartieri e nuovi spazi, spesso ancora in costruzione, tanto che neanche importa se l’albero è pluricentenario né ci si preoccupa di farlo vivere nelle giuste condizioni climatiche.

A parlare di questa inaccettabile situazione è stata la fotografa Yan Wang Preston, che ha dato vita al progetto “Forest”, con il quale ha vinto il premio del Syngenta Photography Award 2017, dedicato alla dicotomia Grow/Conserve. L’obiettivo è quello di mettere a confronto due aspetti che ormai vanno di pari passo: da un lato la continua crescita urbana che non accenna ad arrestarsi, e dall’altro la voglia di preservare l’ambiente.

Il progetto è nato nel 2011 in seguito a una strana scoperta: “Si costruiscono molte nuove città e la tendenza è di renderle più vivibili e di combattere lo smog piantandoci delle foreste – dichiara Preston -. Tra i tantissimi alberi che stanno piantando ho notato qualcosa di strano: ce ne sono di strane dimensioni, chiaramente alberi maturi, e mi sono chiesta quale vivaio potesse mai far crescere alberi di cento e più anni”.

Ovviamente non si parlava di nessun vivaio, ma gli alberi in questione erano stati estirpati e, cosa ancora più grave, scelti per la loro estetica e il loro prestigio. Uno degli alberi documentati è quello della Forest 10 di oltre trecento anni: “Ho avuto modo di fotografare quest’albero poco prima che fosse sradicato – continua la Preston -. Aveva trecento anni e una vita felice nel suo villaggio; un giorno è stato sradicato e messo nella terra desolata davanti a un hotel a 5 stelle in costruzione. Hanno pagato chiaramente molti soldi, ma avrebbero potuto convogliare quel denaro per qualcos’altro”.

L’esigenza di piantare alberi sta prendendo il sopravvento, senza capire che in realtà non si sta facendo del bene alla natura. In questo modo si innesca un circolo vizioso con alla base un’idea fraintesa di ecologia, essenzialmente estetica e frettolosamente utilitaristica, che ha solo delle ripercussioni pericolose, poiché spesso gli alberi immessi nel nuovo habitat non riescono a sopravvivere. Ed è proprio quello che è accaduto agli alberi di Ginkgo, antichissimi e molto ambiti, sradicati e quasi sempre piantati in città che non hanno un clima adatto a loro.

“Gli alberi – conclude la fotografa – hanno un significato universale, sono simbolo della vita. Come artista posso dire di aver percepito il loro dolore, che è un dolore fisico. In alcune foto è più chiaro: le braccia tagliate, stanno letteralmente sanguinando. Sono avvolti in buste di plastica, con un sacco di corda attorno, hanno queste borse di nutrizione, con aghi ficcati nella schiena. Se fossero degli umani sentirebbero un dolore incredibile”.

Veronica Nicotra -ilmegafono.org