Dicono che la memoria del passato sia fondamentale per costruire il futuro. Non un futuro qualsiasi, ma il migliore possibile, almeno nelle intenzioni. La storia d’Italia è piena di fatti, eventi, tragedie “da non dimenticare”. Lo ripetono spesso, soprattutto in occasione di anniversari, commemorazioni, celebrazioni. Eppure ci sono pezzi di storia che rimangono imprigionati nel passato, che non sono oggetto della memoria collettiva, ma sopravvivono solo grazie ai familiari, agli amici, ai colleghi, a tutti coloro i quali non hanno mai messo da parte il dolore e la rabbia.

Nella settimana che si conclude si sono celebrati alcuni anniversari e di questi ce ne sono due che vogliamo ricordare. Due fatti accaduti molto tempo fa e a dieci anni di distanza l’uno dall’altro. Uno al nord e uno al sud. Gli autori, i carnefici, ispirati da obiettivi diversi (ma spesso, nella storia d’Italia, in stretto contatto); il risultato ugualmente drammatico.

31 maggio 1972, Friuli, per l’esattezza Peteano, frazione di Sagrado, nei pressi di Gorizia. Al comando dei carabinieri della città friulana arriva una chiamata che comunica la presenza di un’auto con due buchi sul parabrezza, ferma in un viottolo sterrato lungo la strada, a Peteano. Da Gorizia giungono sul posto, a distanza di pochi minuti, due gazzelle con a bordo cinque carabinieri, alle quali si aggiungerà poco dopo una terza pattuglia. Il brigadiere Antonio Ferraro e i carabinieri Donato Poveromo e Franco Dongiovanni si avvicinano per ispezionare la vettura. Aprono il cofano e vengono travolti e uccisi dall’esplosione di una bomba. Atri due commilitoni rimangono gravemente feriti.

Un attentato, una trappola che ricorda quella usata nove anni prima dalla mafia a Ciaculli (Palermo), con ben 7 vittime. Solo che a Peteano la strage ha un’altra firma: terrorismo di matrice fascista. Le indagini successive saranno segnate da depistaggi, accuse false, ricostruzioni parziali. Ci si indirizzò inizialmente su Lotta Continua, ma senza alcun riscontro. Quando poi arrivarono indicazioni sul coinvolgimento di un gruppo neofascista, i servizi segreti vietarono di indagare in quella direzione e l’attenzione si spostò su alcuni ragazzi che avrebbero agito per ripicca contro i carabinieri. Tutto falso.

Alla fine, dopo anni, il processo porterà alla condanna di alcuni esponenti di Ordine Nuovo (tra cui il reo confesso Vincenzo Vinciguerra) e dell’Msi (Carlo Cicuttini). Ma l’inchiesta accerterà anche tutti i depistaggi compiuti da alcuni ufficiali dell’Arma e il favoreggiamento aggravato da parte di alcuni personaggi politici, tra i quali il tanto venerato (solo a destra) e stimato (da più parti) Giorgio Almirante. Si è dimostrato infatti che lo stesso fece arrivare dei soldi al “camerata” Cicuttini (riconosciuto come colui che piazzò la bomba insieme a Vinciguerra e soprattutto come l’autore della telefonata al comando di Gorizia) per permettergli di operarsi alle corde vocali e cercare di tirarsi fuori dal processo.

Almirante, che ancora oggi, in questo Paese senza memoria, viene citato come grande esempio di serietà politica, venne condannato ma si salvò ricorrendo all’immunità parlamentare e poi usufruendo di un’amnistia. Davvero un bell’esempio di rettitudine, da ricordare per quello che è realmente stato e non con la falsa e stucchevole vena romantica di certe memorie.

E arriviamo all’altro evento. 29 maggio 1982, Cava dei Tirreni: Alfonso Lamberti, magistrato che stava svolgendo indagini contro la camorra, sta tornando a casa dopo aver trascorso qualche ora in spiaggia con la figlioletta di 11 anni, Simonetta. Una vettura lo affianca e spara, ferendo il giudice e uccidendo la bambina. Un fatto di sangue terribile che scosse l’opinione pubblica. Su esecutori e mandanti di questo omicidio, le indagini sono state lunghe e non prive di colpi di scena. Nel mezzo anche una disputa tra lo scrittore Roberto Saviano e il boss Raffaele Cutolo, accusato da Saviano di essere in realtà il vero mandante dell’omicidio.

Su questo punto, a parte la querela di Cutolo che finì archiviata, è molto importante, come ha fatto Francesco Virtuoso in un suo articolo sul sito Risorgimento Nocerino, riportato da Antimafia Duemila, ricordare un passaggio di Saviano nelle pagine del suo libro “Gomorra”: “A fianco ai servizi su Mina Verde capitò anche un’intervista alla moglie di Raffaele Cutolo. Donna Immacolata vi sostiene che la camorra, quella vera, quella di suo marito, non uccideva mai le donne. Aveva una forte etica, fatta da uomini d’onore. Bisognava forse ricordarle che negli anni ‘80 Cutolo fece sparare in faccia a una bambina di pochi anni, figlia del magistrato Lamberti, davanti al padre. Ma i quotidiani l’ascoltano, le concedono fiducia, le danno credito e autorevolezza sperando che il potere della camorra possa ritornare come un tempo. La camorra del passato è sempre migliore rispetto a quella che è o che sarà”.

Al di là della responsabilità o meno di Cutolo, che non spetta a noi accertare, il punto qui è proprio quello sollevato da queste righe di Saviano, ossia il modo sbagliato e falso di immaginare una diversità di gradazioni dell’orrore tra vecchia e nuova mafia o vecchia e nuova camorra. Non esiste un codice vero, reale, se non nell’idea romanzata di certi vecchi collaboratori di giustizia che volevano presentarsi come differenti, più umani. Ma di umano non c’è stato mai niente. Bambini, ragazzini sono stati uccisi dalle mafie anche nella loro precedente generazione. Ci sono nomi e cognomi che dovremmo ricordare sempre per scacciare via quella che è solo una diceria. E non vale soltanto per la mafia, ma vale per tutto ciò che richiede un giudizio storico realista, pulito, scevro da condizionamenti ideologici o culturali.

Ecco perché non basta ricordare solo alcuni fatti o personaggi, ecco perché ci sono storie tragiche che dovrebbero avere più spazio nella memoria collettiva e non essere marginali, non essere solo nella memoria di chi si è visto strappare affetti. A Simonetta è stato dedicato un monumento, ma anche lo stadio della città e poi biblioteche e piazze. La sorella sta inoltre svolgendo un infaticabile lavoro di memoria. Alle vittime della strage in Friuli, invece, è stato dedicato solo un monumento a Peteano di Sagrado e solo l’Arma commemora annualmente l’eccidio e le sue vittime.

Ed è davvero poco, perché così come l’assassinio di Simonetta smentisce l’esistenza di una qualche forma di umanità nella camorra di un tempo, il racconto della strage del 1972 è il grimaldello per scardinare un certo vizio revisionista della nostra storia e smascherare la vera caratura morale e politica di personaggi del passato divenuti icone sacre, ma che in realtà nascondono responsabilità gravissime e coscienze lerce. Allora, ci rimane solo una possibilità per costruire un futuro migliore: strappare certi fatti dalle mani dell’oblio e ripulire la memoria dalle sue troppe scorie tossiche.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org