Il mare offre sempre grandi opportunità: spazio sconfinato dove trovano rifugio molte specie animali, ma anche bacino di risorse da sfruttare e depredare, anche danneggiando l’ecosistema. È quanto sta accadendo, o meglio, sta per accadere nelle acque comprese tra Sardegna, Corsica e Francia a causa di un progetto norvegese ideato dalla società Tgs-Nopec e utile all’estrazione di petrolio nel Mediterraneo: bombe ad aria compressa con una potenza pari a 240-260 decibel, paragonabile alla potenza sonora di un sisma. Lo spazio di mare in questione è ormai da anni rifugio sicuro di cetacei e tartarughe marine che, sottoposte alle onde sonore dell’“air-gun”, questo il nome delle bombe ad aria, potrebbero perdere l’orientamento e trasformare il loro rifugio in una zona da evitare.

L’operazione dovrebbe aver luogo a circa 24 miglia dalle coste della Sardegna, dove la società norvegese è convinta di trovare oro nero. 

Il “Santuario dei Cetacei”, istituito nel 1991 da Italia, Francia e Principato di Monaco per tutelare le specie animali che vivono in quest’area, è oggi difeso dai tre paesi che hanno stipulato l’accordo, uniti contro il progetto norvegese. Il presidente corso Gilles Simeoni fa sapere che i governi dovrebbero impegnarsi a prescindere per evitare trivellazioni offshore, dato che un eventuale incidente potrebbe causare danni anche irreparabili. Gli fanno eco le istituzioni sarde e francesi, che condannano ulteriori esplorazioni marittime per procurarsi idrocarburi.

Per quanto riguarda i danni subiti direttamente dagli animali, i biologi Gabriele Costa e Greca Calamita, dell’Università di Sassari, affermano che, al di là della perdita dell’orientamento, potrebbero rischiare di perdere l’udito e indebolire il loro sistema immunitario. Le vibrazioni provocherebbero anche la morte di uova e covate, mettendo a repentaglio le capacità riproduttive delle specie coinvolte.

Dal canto suo, la Tgs-Nopec fa ovviamente sapere che la tecnica dell’air-gun è studiata per non provocare troppi danni e che tutto avverrebbe in un’area a 15 miglia dal confine dell’area protetta. Secondo le autorità italiane, però, questa è una distanza ancora troppo rischiosa e non è affatto assicurata la tutela e la piena sicurezza delle specie coinvolte. Nel frattempo le associazioni ambientaliste fanno sentire la loro voce, chiedendo un intervento diretto anche del ministero dell’Ambiente.

Laura Olivazzi -ilmegafono.org