Mettiamo il caso che domani mattina uno stimato giornalista si svegli e pubblichi un’inchiesta nella quale sostiene, ad esempio, che le associazioni a tutela delle vittime dell’inquinamento nel Monferrato o a Taranto o nella famigerata “Terra dei Fuochi” in realtà agirebbero sottobanco per favorire proprio le imprese colpevoli di aver avvelenato quei territori. Il tutto non suffragato da prove, ma da sospetti e supposizioni. Cosa accadrebbe? Quanti sarebbero disposti a fidarsi di ipotesi così incredibili prive del supporto di prove concrete?

Suppongo che la maggioranza si indignerebbe, ma al contempo ci sarebbe un’altra parte, piuttosto consistente, che purtroppo darebbe immediato credito alle ipotesi, trasformandole in condanna o utilizzandole politicamente per alimentare la polemica. Ciò perché oggi è davvero possibile dire e scrivere di tutto, trovando sempre una sponda in quell’aia affollata di complottisti, sciacalli o mostri che la politica, i media e il web ci propongono.

Per tale ragione, chi ha una visibilità o comunque svolge un ruolo che, oltre ad avere un impatto pubblico, ha anche una cornice deontologica entro cui muoversi, farebbe bene a misurare le parole, ma soprattutto evitare di sganciarle da un accertamento concreto dei fatti, da quelle evidenze che sono imprescindibili quando si muovono accuse, a maggior ragione se pesanti. Non è solo un fatto di prove, ma anche una questione di buon senso, perché quando si pongono pubblicamente dei dubbi senza usare il buon senso, si rischia di cadere nel gioco grigio delle allusioni e di diventare lo strumento di chi può trarre un perverso giovamento da quello che si dice o si scrive. Il caso delle Ong impegnate nelle operazioni di soccorso in mare, accusate, tra le altre cose, di essere in contatto con i trafficanti e di avere un sistema di finanziamenti oscuro e ambiguo, è forse l’emblema di quanto detto.

In questa vicenda, infatti, la degradazione del sopraccitato buon senso, sta volutamente e pericolosamente spostando l’attenzione dai veri problemi e dalle vere responsabilità sulla gestione del fenomeno migratorio e dei flussi diretti verso l’Italia e l’Europa. Ad aprire i giochi è stata l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere (Frontex), che in un rapporto denunciava possibili “involontarie conseguenze” delle attività dell Ong, che avrebbero potuto indirettamente favorire i trafficanti di esseri umani e le Ong. Poi è arrivata la procura di Catania, che ha aperto un’indagine su attività e finanziamenti delle organizzazioni che sono impegnate in mare con il coordinamento, ricordiamolo, delle autorità italiane e della Guardia Costiera. Un’indagine che però non ha prodotto capi d’accusa o indagati, ma una sfilza di dichiarazioni imprudenti che hanno consentito alla stampa e ad una parte della politica di utilizzare questa notizia per buttare fango sulle Ong.

L’obiettivo dei denigratori politici, come ha ben spiegato il prof. Vassallo Paleologo nell’intervista rilasciata alla nostra trasmissione “Megafono Point”, è isolare chi ha scelto di intervenire in quella parte di mare, in acque internazionali, a ridosso delle acque territoriali libiche, dalla quale le navi di Frontex e, in parte della nostra Marina, hanno scelto di ritirarsi, lasciando quella zona, nelle prossime settimane, nelle mani delle motovedette libiche, con equipaggi autoctoni addestrati sulle unità militari della missione europea EunavforMed. La presenza delle Ong disturba, dà fastidio, perché denuncia un vuoto istituzionale gravissimo, ma soprattutto perché potrebbe vigilare sulle modalità di azione di Frontex e sulla gestione dei soccorsi da parte delle motovedette libiche, che riporterebbero i migranti in Libia, dove avvengono gravi violazioni dei diritti umani, e non invece in un Paese sicuro, come ad esempio l’Italia.

Il punto reale, infatti, è quello: l’Europa non vuole far arrivare i migranti, preferisce che vengano fermati prima, che rimangano dall’altra parte del mare, indipendentemente dalla sorte che li attende. La linea tracciata da tempo ormai è quella e le Ong rappresentano un ostacolo. Da rimuovere in qualunque modo. E la politica si è già messa in moto per realizzare il suo squallido disegno.

Purtroppo, e torniamo al discorso precedente, c’è chi le sta fornendo lo strumento sul quale far leva. Non voglio dubitare della buona fede di un magistrato riguardo a ciò che ritiene opportuno sottoporre ad indagine, però, essendoci di mezzo vite umane, sarebbe opportuno quantomeno riflettere sulle proprie azioni e sulla pubblicità delle stesse, quando si è chiamati a rispondere anche a una deontologia legata al proprio ruolo. Perché qui abbiamo un procuratore che, con le sue interviste rilasciate ripetutamente a giornali e tv, è diventato una sorta di bibbia laica per alcuni partiti e movimenti, portando alcuni personaggi politici xenofobi a usare le sue valutazioni (perché al momento di questo si tratta) per generalizzare, per descrivere l’opera dei soccorritori, la loro solidarietà come copertura per affari loschi.

E questo ha scatenato altri xenofobi, razzisti e qualunquisti di ogni sorta, i quali non si pongono il problema che quelle del magistrato siano ipotesi non provate e non certezze. Non importa più a questo punto. La macchina del fango è stata azionata.

Allora, avendo avuto modo di conoscere e stimare magistrati esemplari nella prudenza e nella sobrietà delle dichiarazioni, mi chiedo perché il procuratore di Catania, Zuccaro, abbia sentito l’esigenza di rilasciare più interviste nelle quali si avanzano sospetti, si parla di evidenze di cui si è “abbastanza certi”, ma che non “è possibile utilizzare processualmente”. Vorrei capire anche su cosa fondi (e in che modo c’entri con le indagini) la sua affermazione circa il fatto che, in Sicilia orientale, l’alto numero di arrivi e presenze “stia creando problemi di ordine pubblico e crisi di carattere criminale che potrebbero influire sul tessuto sociale delle popolazioni”. Insomma, non è l’idea di aprire un’indagine conoscitiva che colpisce, perché quello è un atto di ufficio che rientra nella legittimità di chi compie un dato lavoro, qualora ravvisi dei sospetti o delle stranezze, che però poi vanno comunque provati.

Ciò che stupisce è il clamore, la mediaticizzazione di quella indagine, ma soprattutto la serie di affermazioni successive che non sono attinenti al ruolo ricoperto, ma vanno ben oltre. E non sono sostenute da atti concreti, indagati, prove. Anche le risposte fornite nel corso della sua audizione presso la Commissione Schengen lasciano perplessi e sembrano appartenere più a una certa visione politica che al risultato di un’attività inquirente. Asserire che le Ong ostacolino le indagini su chi facilita i trafficanti o, peggio ancora, affermare che le morti in mare non siano diminuite nonostante la maggior presenza di imbarcazioni, esula dal buon senso.

Primo perché il ruolo dei soccorritori, che sono medici e non soldati, è quello di salvare persone in mare ed evitare il peggio. E non spetta certo a loro l’attività di indagine o denuncia, perché anche nel caso in cui salvare vite umane dovesse significare intralciare l’approfondimento degli inquirenti, vorrebbe dire che spetta a chi indaga impegnarsi di più su quel fronte, perché di certo non si può pretendere che si tolga priorità a ciò che le convenzioni internazionali e un più banale principio di umanità impongono. Seconda cosa: se il numero di morti in mare non diminuisce e anzi aumenta, questa è una responsabilità di un’Europa chiusa e incapace di consentire vie di accesso legali e garantite, non certo di chi con la propria presenza ha salvato 46.796 persone solo nel 2016. E questi sono dati reali, non supposizioni buttate al vento.

Pertanto, visto che certe affermazioni sono state usate da qualche squallido rappresentante politico per ostentare il proprio piglio xenofobo e visto che è evidente che l’obiettivo che Frontex vuole raggiungere con queste accuse è fermare gli arrivi, lasciando che siano la Libia e il mare a seppellire migliaia di disperati, forse sarebbe meglio fermarsi, tacere, evitare disquisizioni giornalistiche o dichiarazioni dai toni perentori e non privi di battute inadeguate (“A Pasqua sulle coste libiche c’erano tante navi pronte a partire che sembrava lo Sbarco degli Alleati in Normandia”). Soprattutto se in mano non si hanno evidenze di alcun tipo, come confermato anche da vertici militari.

Sarebbe quindi più opportuno occuparsi solo del proprio lavoro, come fanno tanti altri uomini con la toga, indagando nel silenzio e cercando di farlo senza pregiudizi né sipari mediatici, almeno fino a che si ricopre una funzione delicata e imparziale come quella di magistrato. Altrimenti, si può sempre scegliere di lasciare una istituzione e provare a intraprendere una strada più consona, quella nella quale si può dichiarare qualsiasi cosa, indipendentemente da fatti, prove, buon senso e dati. La politica, signor procuratore, a differenza di questa Europa, ha sempre una porta aperta. Per tutti.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org