La notizia è clamorosa. Il 18 aprile scorso, sulle pagine web del “Corriere della Sera” è apparso un articolo, firmato dal giornalista Giulio De Santis, nel quale si afferma che la procura militare di Roma, nella persona del procuratore Marco De Paolis, starebbe indagando sulla morte di Tony Drago seguendo direttamente l’ipotesi di omicidio volontario. Nessuno spazio per altre possibilità interpretative. La procura militare, dunque, se questa notizia fosse fondata come crediamo, avrebbe imboccato la via che è stata recentemente tracciata e consolidata dalle perizie dei consulenti nominati dal Gip di Roma, Angela Gerardi.

Un’altra importante svolta, dunque, nella vicenda del giovane militare trovato morto, nel 2014, all’interno della caserma Sabatini di Roma. Svolta che è giunta proprio nello stesso giorno in cui l’avvocato Dario Riccioli, legale della famiglia di Tony, così come aveva annunciato la settimana scorsa (leggi qui), ha depositato la richiesta di chiusura delle indagini preliminari indirizzata al pubblico ministero, il sostituto procuratore Alberto Galanti, invitandolo a esercitare l’azione penale, per mettere così fine a uno stallo che appare immotivato e si potrebbe prestare, naturalmente, a sospetti e speculazioni.

Un segno, forse, ma soprattutto una novità che, a questo punto, oltre a rafforzare l’ipotesi da subito avanzata dalla famiglia, dai legali e dalle perizie dei propri consulenti e poi confermata nel corso dell’incidente probatorio, potrebbe creare non pochi imbarazzi nelle stanze della Procura della Repubblica romana diretta da Giuseppe Pignatone. Se la notizia diffusa dal “Corriere”, infatti, fosse confermata, il ritardo nella chiusura delle indagini da parte di Galanti sarebbe ancora meno comprensibile.

Ci troveremmo, da un lato, una procura militare (che di solito sarebbe più facile accusare di voler coprire responsabilità di fatti criminali avvenuti dentro una caserma) decisa a indagare alla ricerca di colpevoli di omicidio volontario; dall’altro, una procura della Repubblica titubante, sul quale pesa peraltro l’iniziale richiesta di archiviazione (respinta dal Gip ad aprile dello scorso anno), che ancora oggi non ha presentato alcuna iscrizione per il delitto di omicidio volontario, nonostante l’udienza per l’incidente probatorio abbia fornito valido sostegno a tale ipotesi.

Proprio in quell’occasione, infatti, i periti del Gip, dr. Procaccianti e dr. Boffi, hanno di fatto escluso il suicidio e sono giunti a formulare l’ipotesi che Drago possa essere stato ucciso al termine di una prova di resistenza (flessioni), durante la quale qualcuno gli avrebbe fratturato la schiena e poi lo avrebbe ucciso colpendolo violentemente sulla testa con un oggetto contundente (il verbale parla di un badile). Da questa ricostruzione, se ne deduce che il suicidio sarebbe stato successivamente inscenato, probabilmente portando il corpo sotto la finestra dalla quale, come dichiararono, con una fretta sospetta, i responsabili militari della caserma Sabatini, Tony si sarebbe lanciato per via di uno stato depressivo legato a un problema sentimentale.

Lo scenario nel quale Tony Drago ha consumato i suoi ultimi istanti di vita è dunque agghiacciante e violento: “Quella ricostruita dai consulenti del Gip – afferma al telefono l’avvocato Riccioli – è l’unica ipotesi compatibile con quanto emerso dalle verifiche, ossia un omicidio efferato avvenuto con le modalità descritte”. Insomma, la verità comincia pian piano a farsi strada, nonostante siano passati quasi tre anni. Troppo tempo. Una ferita per la giustizia di questo Paese, per la dignità di uno Stato che non sa proteggere nemmeno chi lavora dentro le sue istituzioni e soprattutto per la famiglia e per chiunque abbia conosciuto quel dolore terribile che non svanisce e che si riempie ancora di lacrime nell’ascoltare i dettagli della violenza feroce a cui quel ragazzo è stato costretto.

C’è troppa rabbia, insieme a quel dolore, c’è una richiesta di verità e giustizia che non può arrestarsi, non può accettare di sbattere contro l’ennesimo muro di gomma. Ci sono esseri umani e il loro diritto di sapere, di guardare in faccia gli assassini e vedere applicata la legge. Non è solo una questione personale o familiare, è una questione democratica. Ed è per questo che dalla magistratura ordinaria, adesso, si attende la fine di questa inerzia resa ancora più censurabile dalla notizia delle indagini della procura militare che starebbero andando verso una direzione netta e precisa.

“Adesso ci aspettiamo che la Procura di Roma faccia qualcosa”, ci dice Riccioli. Un’aspettativa che speriamo venga accolta nel giro di pochi giorni, perché la situazione, alla luce degli ultimi fatti, comincia davvero ad alimentare sospetti e interrogativi ai quali si fa fatica a rispondere usando la logica, almeno se si sceglie, come facciamo noi, di rimanere nell’alveo della legittimità dei comportamenti e della buonafede dei magistrati.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org