Cacciatori, giustizieri e sciacalli. Non parliamo di qualche pellicola avventurosa o di scenari remoti. Siamo in Italia, nei dintorni di Lodi, Lombardia. Un ristoratore, vittima del tentativo di furto notturno nella sua tabaccheria, sita proprio sotto la sua abitazione, decide di intervenire, imbraccia il fucile e, per cause ancora da accertare, spara. Uno dei rapinatori, un ragazzo di 32 anni, muore. Faceva probabilmente parte di una banda e si trovava lì per rubare stecche di sigarette. Questo ragazzo, già poche ore dopo la morte, è diventato oggetto dell’ennesima bagarre politica, quella scatenata dai sobillatori di odio, i soliti. Legittima difesa, dicono, senza alcun dubbio, i protagonisti dell’orrida sfilata che prosegue ininterrotta presso il locale del ristoratore.

Salvini, De Corato, La Russa: tutti subito schierati al fianco di chi, con attenuante o meno, ha comunque ucciso un uomo. Per una difesa legittima o per un suo eccesso questo ancora non è dato saperlo. Sono molti, infatti, i dubbi degli inquirenti. Ci sono versioni che non collimano con le testimonianze dei vicini, non vi sono certezze sulla necessità di sparare, sull’accidentalità o volontarietà del colpo. Certo, i ladri erano veri e il loro obiettivo erano le sigarette. Ma non è ancora chiaro se ci sia stato il tentativo di aggressione, se ci sia stata colluttazione. Eppure, gli sciacalli sono già tutti radunati attorno alla loro preda, con le facce dure e le bocche spalancate. La prospettiva è stata subito rovesciata: chi muore è colpevole, chi spara è vittima.

In questa inversione acrobatica del buon senso, il vero problema diventa allora il consenso della gente, non solo nella comunità del paesino teatro del dramma, ma anche nel resto del Paese. Un’ondata di giustizialismo da far west e di solidarietà appiccicosa e perversa che si propaga in tutta Italia, nei commenti al bar, sui social, nei sondaggi che vengono tirati fuori dai famigerati prestigiatori della tv. Neanche a dirlo, gli sciacalli hanno subito sfruttato la situazione promettendo di portare in Parlamento una legge che legittimi il diritto di uccidere. Senza troppi fronzoli sull’opinabilità del limite tra difesa e offesa. Perché parliamoci chiaro: un conto è uccidere perché non si ha altra scelta, un altro conto è uccidere perché ti irrita l’idea che qualcuno ti abbia privato o possa privarti di un bene materiale. Ma non sappiamo ancora cosa sia davvero accaduto quella notte, quindi lasciamo aperta ogni ipotesi.

Detto ciò, però, ammettendo che il ristoratore abbia agito per sfuggire a un’aggressione nei confronti suoi e dei suoi familiari, ammettendo anche che abbia sparato accidentalmente, quello che sicuramente non è piacevole è l’atteggiamento tenuto dopo. Ci spiace dirlo, ma non è bella questa esposizione mediatica, le partecipazioni a programmi tv, senza una parola di vero cordoglio, senza una prova di dolore per una vita strappata via. Non è bello nemmeno assistere agli autoscatti sorridenti accanto a Salvini. Allo stesso modo, è triste vedere le tante manifestazioni di solidarietà, i messaggi dei bambini, la visita del parroco e di altri celebri protagonisti in passato coinvolti in casi di più o meno presunta legittima difesa.

Ancora peggio è la notizia dell’accesso a un fondo messo a disposizione dalla Regione Lombardia per la copertura delle spese legali. Nessuna parola contro la logica del farsi giustizia da sé. Nessun dubbio sul fatto che la vicenda possa anche essere andata diversamente e che magari alla fine verrà dimostrato un eccesso di impeto, una negligenza. Niente. Una parte d’Italia ha già scelto di assolvere l’omicida. È probabile che se la vittima fosse stata italiana tutto questo dibattito non ci sarebbe stato e non avremmo visto né leghisti né altri cavalieri dell’orrore a razzolare nel lodigiano.

Questo è il segno della piccolezza di questo Paese e del clima fetido dentro al quale ogni occasione è buona per discriminare, costruire etichette e spazzare via qualsiasi principio di umanità. Che poi siano persino istituzioni, come il sindaco, dei parlamentari e la Regione Lombardia, a rendersi protagoniste di tale bassezza è ancora più grave. Ma ormai ci siamo tristemente abituati. Al punto che non conta più nemmeno il dubbio espresso dal pm sulle contraddizioni emerse dal racconto di chi ha sparato. La sentenza è già arrivata: legittima difesa. Punto. E vai con il mantra della sicurezza, della paura, del diritto di difendersi. Un coro che si arricchisce delle voci di perditempo o di personaggi dello show biz che, già nelle settimane precedenti, avevano aizzato la plebaglia del web con l’indiretta esortazione ad armarsi, a costruirsi un arsenale, e così via.

Adesso la melodia è monotona, il pensiero unanime: lo Stato deve consentire per legge al cittadino “indifeso” l’opportunità di uccidere. Certo è quantomeno curioso che gli stessi che hanno blaterato e gracchiato ingiurie sul fine vita e sul diritto all’eutanasia da parte dei malati gravi, oggi siano in prima fila a chiedere che si riconosca ai cittadini la licenza di uccidere. Sono voci piene di ottusità, alle quali non importano le conseguenze di tutto ciò, l’assoluta inutilità dell’arma come deterrente ai crimini. Ma, al di là di tutto questo, la cosa spaventosa è che non si ragioni sul fatto che nessuna sottrazione materiale possa valere la vita di un uomo. Andrebbe ripetuto e spiegato anche a quei negozianti che oggi vanno a dare solidarietà al ristoratore e che qualche tempo fa hanno abbattuto come prede rapinatori ormai in fuga, lontani dalla possibilità di nuocere.

Un carico di sigarette non può mai avere lo stesso valore di una vita. Oggi la vita spezzata è quella di un ragazzo, che ha sbagliato certo, ma che non meritava di morire. E che invece merita giustizia, come ha chiesto la famiglia, con una dignità e una umanità che sono sconosciuti agli sciacalli politici del momento e anche a quella gente che ha calpestato i fiori in memoria della vittima, sul luogo in cui è stata ritrovata. Allora, in mezzo a questo brutto show di mostri e di giustizieri, a darci speranza nell’essere umano restano solo quelle parole, pronunciate dal fratello del giovane ucciso: “Perdoniamo Mario Cattaneo davanti a Dio: non vogliamo vendetta ma solo giustizia”. La attendiamo anche noi e tutti quelli che credono nella legge e non nel rumore e nel sangue delle armi.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org